A cura di Giulia Santi e Giada Baicchi
Recensione
“Solofra è la prova che la scuola italiana funziona solo per chi non ne ha bisogno”
7 giugno 1991: in un’indefinita scuola superiore si sta per svolgere il consiglio di classe che deciderà i promossi e i bocciati della classe IV D. Il corpo docenti, quantomai eterogeneo, riflette atteggiamenti diversi nei confronti della vita e in particolare dell’insegnamento: c’è padre Mattozzi, l’insegnante di religione con scarsa cura della sua igiene personale (Vittorio Ciorcalo), Mortillaro, l’insegnante di francese frustrato e arrabbiato col mondo e col sistema scolastico che aiuta e promuove i “beduini” (Roberto Nobile), c’è Cirrotta, ingegnere nel business degli impianti di riscaldamento che fa del suo ruolo di insegnante di impianti il suo secondo lavoro (Antonio Petrocelli), la Alnovi di storia dell’arte, acidina e anche un po’ spiona (Maria Laura Rondanini) , la Serino, che più che un’insegnante è un’entità che aleggia nell’armadietto ancora pieno delle sue cose dopo la sua morte. E poi ci sono Cozzolino, l’insegnante di lettere (Silvio Orlando), e la Baccalauro di ragioneria (Marina Massironi). Questi personaggi, insieme al Preside – un po’ ignorante – interpretato da Roberto Citran, si avvicendano sul palco e, infilate le scarpe da ginnastica che servono per non rovinare il linoleum della palestra in cui si svolge il consiglio, prendono il testimone dell’espressione e sputano sulla scuola e sui ragazzi tutto quello che hanno da dire. Ne viene fuori un panorama vario, personale, di interpretazioni, tuttavia riconducibile a due visioni distinte dell’insegnamento come lavoro o come missione. “Io il francese l’ho insegnato? Sì! Lui il francese l’ha imparato? No! E allora gli metto quattro!” Non fa una grinza. Ma nella visione dell’insegnamento come missione chi ha bisogno della scuola non sono quelli, come Solofra Sonia, che imparano senza problemi e con facilità ottengono e portano a casa il loro 10; no, chi ha bisogno della scuola sono quelli come Sbilenchi Katia, che il ragazzo fa di tutto per mettere incinta, quelli come Cardini Mauro che, interrogato, risponde: “Non lo so. Ma se vuole le faccio la mosca”.
Nel primo atto il corpo docenti è alle prese coi pettegolezzi della presunta relazione tra Cozzolino e la Baccalauro: questo dà la possibilità allo spettatore di conoscere i personaggi e riconoscere la loro visione delle cose. Nel secondo atto invece si svolge il consiglio di classe vero e proprio, dove al pettine del giudizio vengono i nodi del sistema di istruzione italiano: mezzi inadeguati, a volte scarsa preparazione degli insegnanti, favoritismi, inadeguata conoscenza della psicologia dei ragazzi. Il nucleo che racchiude tutti i punti di vista dei vari insegnanti è l’interpretazione che essi danno dell’imitazione della mosca che fa Cardini: per Cirrotta, che non perde occasione per provarci con la Sbilenchi, la mosca è un pretesto per stampare succhiotti alle ragazze; il prete ci vede invece l’anima dell’uomo intrappolata nella bestia; Mortillaro, nella sua impotenza, vi vede una rabbia che culmina in un’autoeutanasia. Sono solo Cozzolino e la Baccalauro che, andando al di là dei loro limiti personali, delle loro difficoltà e dei loro problemi, colgono nell’imitazione del ragazzo una richiesta di aiuto perché, avvilito, vive una metamorfosi dove è la mosca ad essere afflitta da Cardini, e non il contrario. In una transizione che non può gestire, vittima di disagi familiari, l’adolescente si divincola in un’identità dubbia che lo porta in volo e poi alla morte.
Tratto dall’omonimo film vincitore del David di Donatello, scritto da Domenico Starnone, per la regia di Daniele Luchetti, La scuola ha dato venti anni fa il la per portare l’argomento istruzione in primo piano in tv e nei dibattiti. Dopo l’enorme successo di critica e pubblico torna a teatro, in una versione leggermente rivista, essenziale e meno cupa, perché di scuola e di ragazzi non si parla mai abbastanza. (G.S.)
Appunti tecnici
L’intero spettacolo si svolge in una ambientazione unica, all’interno della palestra della scuola che è diventata anche la sala professori dell’istituto. In questo ambiente circoscritto si avvicendano i vari personaggi costretti a convivere in uno spazio ristretto dove inevitabilmente i loro contrasti di pensiero sfociano in situazioni comiche per lo spettatore. La palestra è caratterizzata da oggetti tipici di quel luogo, come il cavallo da ginnastica o gli armadietti dove i professori ripongono il cambio delle scarpe. Caratteristiche della scena sono le impalcature metalliche lungo tutto il perimetro esterno che, oltre ad accentuare la ristrettezza del luogo, danno un chiaro segnale visivo del pessimo stato in cui versa la scuola.
Gli abiti di scena in realtà sono moderni, attuali, ma diversificati a seconda del personaggio e del proprio carattere: la professoressa di storia dell’arte, molto petulante e precisina, indossa abiti dal gusto classico a bambolina; la professoressa di ragioneria con abiti comodi e borse capienti come tutte le neomamme.
Particolare è la corda da allenamento posta abbandonata sempre di lato sulla scena che in realtà serve in una scena in cui Silvio Orlando mima perfettamente la mosca inventata dal suo alunno Cardini: con un sapiente gioco di luci, viene imbragato e può così svolazzare libero su tutto il palco, dando così vita a quello che fino a quel momento per lo spettatore era rimasto chiuso nella propria immaginazione. (G.B.)