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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Meglio la scuola della merda

Meglio la scuola della merda

Meglio la scuola della merda.

Il bambino Lucio e le sue 36 mucche da accudire in uno sperduto paesino dell’Appennino magro e povero, che il miracolo economico avrebbe spazzato via in pochissimi anni, in un giorno qualsiasi degli anni Cinquanta entrò nella scuola di un prete durissimo e rivoluzionario (forse durissimo in quanto rivoluzionario), don Lorenzo Milani. Capì immediatamente che quella era la sua unica chance e pronunciò la fatidica frase “meglio la scuola che la merda”. Lo so, il paragone può apparire pesante ora che la merda non fa “tendenza”, almeno al livello di materia organica, ma nasconde una profonda verità.

Il libro è “Lettera ad una professoressa”, la scuola è quella di Barbiana: il libro è di quelli che ha lasciato il segno, che ha provocato crisi di coscienza, chi lo ha letto non è riuscito a tornare indietro. È una critica profonda di una “certa” scuola che selezionava secondo la classe sociale, di insegnanti  “gente disattenta che teneva il coltello dalla parte del manico”, il peccato peggiore che può compiere un insegnante, perché il manico del coltello chiude ogni possibile dialogo.

Quale era il messaggio del libro? Che gli studenti non sono tutti “uguali”, che chi ha in casa mille libri invece di nessuno parte avvantaggiato, che quelli che hanno genitori informatizzati oggi sono avvantaggiati, che chi può permettersi di viaggiare, di andare a teatro, parte avvantaggiato nella lotta per la vita. Che ogni studente è diverso dall’altro e che gli insegnati che dicono “sono tutti uguali” non sanno fare il proprio mestiere.

scuola

È proprio finita tutta la scuola classista? In gran parte sì, non ci sono più limiti evidenti, ma se guardiamo in fondo in fondo e non ci accontentiamo di analisi affrettate, vediamo come i genitori dei ragazzi che si iscrivono ai professionali hanno redditi più modesti, che questi istituti sono visti come un’occasione per i figli degli immigrati e che soprattutto la scuola italiana non è un mezzo per migliorarsi socialmente. E a proposito di miglioramento, non dimentichiamo che pochi anni fa un anziano presidente del consiglio, ad una ragazza che si diceva preoccupata per la mancanza di lavoro, consigliava di “sposare il figlio di un milionario”. Si sa, il signore in questione era un burlone, amante di bandane e bunga bunga, ma l’idea è più diffusa di quanto sembri.

D’altra parte l’istruzione è un bene primario come l’aria che si respira, è il motore della società, che invece è stata da troppi anni sacrificata ai “tagli”, parola sanguinaria, ingentilita dall’inglese “spending review”, e “tagliare” sull’istruzione significa demolire, per ogni euro non speso, un frammento di democrazia. E invece per anni abbiamo avuto ministri della Pubblica Istruzione in ginocchio davanti ai ministri dell’Economia, a parlare di grembiulini “fashion”, di fantomatiche tre I (Inglese, Informatica, Impresa), mentre la scuola andava a rotoli e si salvava solo grazie al “volontariato” di molti insegnanti che hanno cercato di combattere la demotivazione che dilaga.

Eppure la scuola deve essere inclusiva, deve accendere scintille nella mente dai ragazzi per mezzo degli insegnanti, che non siano tronfi figuri che dicono “io, io”, ma “noi” inteso come “comunità” educante in entrambi i sensi, in una società che sembra invece marginalizzare la conoscenza. E allora pensiamo a cose nuove, che poi sono presenti in molti paesi europei, non nelle scuole marziane. Non pensiamo più alla scuola–prigione, ai micro-banchi dove si diventa gobbi, alle ore di lezione chiuse e definite, ma apriamo porte e finestre (d’altra parte non si vuol far partire un nuovo piano di edilizia scolastica con tante prime pietre da scolpire e porre a peritura memoria?). C’è una scena nel film-cult di Daniele Luchetti “La scuola” in cui agli studenti viene dato il seguente compito: “disegna la scuola dei tuoi sogni” e loro disegnano una non-scuola, rispetto almeno a come l’abbiamo sempre intesa: spazi verdi, piscina, palestra, spazi per fare l’amore, per divertirsi, per creare. E due prof sconsolati dicono: “noi non ci siamo più, siamo inutili”. Invece questi ragazzi hanno pensato una scuola anche per loro, basta che abbiano un sogno, che magari hanno dimenticato nella profondità del proprio animo. Che si chiuda l’aula–prigione e si cominci a pensare a spazi aperti con più funzioni, a laboratori della creatività scientifica ed umanistica, all’uso degli strumenti multimediali, a luoghi dove la creatività e la critica si sviluppino. Per questo occorrono nuovi investimenti, nuovi programmi, sapendo che ogni centesimo speso ne produrrà cento volte di più per il paese: una scommessa gigantesca. Perché si torni a dire che la “scuola è meglio della merda”, ma non la sana cacca di mucca, ma quella che ci assale ogni giorno, quella dell’ignoranza e della rassegnazione.

Tiziano Arrigoni

Tiziano Arrigoni

Massetano - follonichese - piombinese - solvayno, insomma della Toscana costiera, con qualche incursione fiorentina, Tiziano Arrigoni è un personaggio dalle varie attività: scrittore di storia e di storie, pendolare di trenitalia, ideatore di musei, uomo di montagna sudtirolese ed esperto di Corsica, amante di politica - politica e non dei surrogati, maremmano d'origine e solvayno d'adozione, ecc. ecc... ma soprattutto uno che, come dice lui, fa uno dei mestieri più belli del mondo, l'insegnante (al Liceo Scientifico "E.Mattei" di Solvay) e, parlando e insegnando cose nuove, trova ispirazione e anche "incazzature", ma più la prima, dai suoi ragazzi di ieri e di oggi.

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