Genny ovvero un eroe del nostro tempo
Lo giuro! Non volevo parlarne! Ma mi sono improvvisamente ricordato di “Don Raffaè” di Faber, il grande Fabrizio De André, “prima pagina venti notizie / ventuno ingiustizie e lo Stato che fa / si costerna, s’indigna, s’impegna / poi getta la spugna con gran dignità” in mezzo a scuse stucchevoli di questo e di quello. E allora sì, ho deciso che, come tanti altri, questa settimana parlo di “Genny ‘a carogna”, 100 chili di libidine fasciata in una maglietta nera in cui si inneggia all’omicida di un ispettore di polizia, ucciso dal lancio di un lavello da un ultras, sì proprio un lavello da cucina, in fondo nel calcio ultras succedono cose che voi umani neanche immaginate. In realtà si chiama più prosaicamente Gennaro, ma gli amici del rione lo chiamano più leggiadramente Genny: il padre ha simpatie camorriste, ma che conta! I “ragazzi” si devono divertire e cosa c’è di meglio del calcio così pieno di interessi non solo sportivi.
Perché Genny è diventato famoso da meritarsi la prima pagina dei giornali? Perché, non proprio comodamente seduto sopra una cancellata dello stadio, ha deciso gentilmente di ricevere le autorità dello Stato e gli esponenti del mondo calcistico e dare il suo benevolo assenso camorristico per far giocare la partita Napoli – Fiorentina, finita (o meglio iniziata) con sonori fischi all’Inno Nazionale. E ha fatto capire chi conta realmente negli stadi! A noi poveri mortali se entriamo in uno stadio la polizia ci toglie anche i tappi delle bottiglie di plastica, a “loro”, i valorosi ultras, neanche le spranghe e le bombe carta. Ma così va il mondo! In fondo lo stadio deve essere un luogo a se stante, dove si esercitano gli istinti, gli odi, i sudori e i fortori di frange camorristiche, di arrabbiati del campanile e dell’identità paesana da fagioli e salsicce, di picchiatori di destra che vi hanno trovato la loro prateria dove scorrazzare e fare cacca di cavallo dello Stato. E questo con la complicità delle società sportive che regalano a questi signori biglietti gratis, che ne fanno gruppi di pressione, con giocatori che sono pappa e ciccia con le tifoserie più violente, con legami profondi con la corruzione dal tempo del calcio–scommesse. Casi che si ripetono in continuazione, a cui segue il solito teatrino di presidenti di società che dicono “mai più” almeno fino alla settimana successiva, di telecronisti con la finta voce tremante di sdegno. Con le autorità che smentiscono regolarmente. Anche questa volta c’è chi ha detto: ma voi, anime belle, volevate sospendere la partita e creare l’inferno? Nossignore, chiunque abbia un minimo di buon senso sa benissimo che gestire l’ordine pubblico in quella situazione sarebbe stato impossibile. No, ci è bastato vedere “lor signori” andare riverenti sotto la cancellata dove stava Gennaro (Genny no, per piacere, troppo ridicolo!), le immagini sono state più forti delle varie untuose smentite. Un gennaroqualunque che ha sbeffeggiato le autorità con la sua maglietta, con la sua fisicità da capo manipolo. Forte della sua impunità negli stadi dove “loro” spadroneggiano, mentre nello stesso tempo si assiste alle cariche feroci contro chi è in strada a chiedere il diritto alla casa o agli applausi rivolti a tre poliziotti pregiudicati per aver ucciso un ragazzo inerme, da parte di un sindacato di polizia che non ha avvertito il minimo di opportunità, di compassione, di pietas come avrebbero detto i latini. Gennaro in fondo sa come va il mondo: del Daspo se ne frega, direbbe lui, continuerà a gestire gli ultras anche fuori lo stadio. E mentre le “autorità” si dirigevano verso di lui, ha rivolto lo sguardo verso la tribuna e ha visto una figurina, di certo importante, che sorrideva, applaudiva (speriamo in modo inconsapevole!), forse cantava “o Fiorentina!”. Questo non lo sappiamo, sappiamo soltanto che Gennaro detto Genny, malgrado il Daspo che pendeva sulla sua maglietta, ha capito ed ha iniziato a ridere, a ridere e a Napoli c’è chi racconta che stia ancora ridendo.