Io vivo in Toscana
Provate a chiedere a un americano medio dell’Illinois o dell’Idaho quali regioni italiane conosce. Sicuramente la Sicilia, che, nello stereotipo, fa tanto don Vito Corleone, e poi la Toscana: l’arte, il Chianti, il buon vivere. E il resto? Una serie di città famose, circondate da territori la cui vaghezza sarà proporzionale alla incultura del vostro interlocutore. Mentre intorno a Milano e a Venezia ci può essere un’entità vaga, tutti sanno che intorno a Firenze c’è la Toscana, un’unione indissolubile nel loro immaginario. Provate a chiedere a un toscano quanto si sente toscano e vi dirà al 100%, toscano quanto Benigni, e giù le solite storie stucchevoli sull’irriverenza toscana, sul toscano ospitale (niente di meno vero) e giù giù per li rami fino ad arrivare alla maglietta con immagine di cinghiale che afferma orgogliosamente “io vivo in Toscana”.
Eppure se andiamo a grattare questa “toscanità” scopriamo che di sentimento comune ce n’è pochino, che spesso il toscano di qua conosce pochissimo del toscano di là, che esistono anche fisicamente diverse Toscane: i geografi seri dicono che sono tre, montana, collinare, di pianura, ma in realtà sono mille diverse e basta vedere i paesi toscani, tutti diversi l’uno dall’altro e vivere in uno non è come vivere nell’altro, tanto che è quasi incomprensibile questa diversità microscopica a chi vive nei paesi spalmati come marmellata in un territorio padano, dove spesso i capannoni, moderni ed effimeri monumenti della nostra epoca, dettano legge. Quindi mentre da fuori veniamo percepiti come un’entità unica, dall’interno, aldilà di stereotipi superficiali, non ci sentiamo tali, insomma la Toscana non fa sistema. Salvo rarissime occasioni. In questi giorni a Monteriggioni (Siena) si è svolto il “Festival della viandanza” che non è solo un modo un po’ antico per dire “andare a piedi”, ma si svolge intorno all’unico asse che per ora unifica la Toscana, la Via Francigena che la spacca o meglio l’attraversa da nord a sud per poi proseguire verso Roma e a nord verso Canterbury. Solo ora si muovono i primi passi, attrezzando questo percorso con alberghi, luoghi di sosta, di informazione, di cartellonistica che non ti faccia smarrire in mezzo al bosco per provare l’emozione del viandante medievale. Eppure da anni la Spagna settentrionale vive e bene sul cammino di Santiago: milioni di persone che ogni anno si avventurano, si fa per dire, su questo percorso atlantico e portano ricchezza, lavoro e anche scambi umani. In Toscana iniziamo ora in modo organico e vedremo gli sviluppi negli anni prossimi. Per il resto si vive sugli allori. Certo, la Toscana aiuta a campare di rendita: se vuoi vedere la torre di Pisa devi venire a Pisa, se vuoi vedere gli Uffizi devi andare a Firenze, non c’è scampo e spesso questo porta a taglieggiare il turista, specialmente in quei triangoli delle bermude che sono diventati i percorsi prefissati dei turisti ad ore, con souvenir fatti in Cina e pizze di plastica. Ma il resto? Dove non ci sono peculiarità assolute come sulla costa? Anche qui spesso si cerca di vivere colla rendita del nome “Toscana”, spesso di riflesso, e quindi spesso offrendo servizi peggiori e prezzi più alti, ma pochi pensano di fare veramente sistema. Guai a creare un coordinamento fra gli addetti ai lavori, salvo lodevoli casi, per accogliere e guidare un turista, per indirizzarlo verso il cosiddetto concorrente quando il tuo albergo o camping è pieno, meglio perderlo che far godere l’altro, troppa fatica “vendere” (brutta parola, è vero!) il territorio toscano nella sua interezza, al massimo “vendo” l’orto di casa. Nonostante la Regione Toscana abbia da alcuni anni iniziato a parlare di “sistema”, con la pubblicità “Voglio vivere così” e con un portale internet unico o con iniziative come “Toscana Arcobaleno”, per citarne solo una, ci sono difficoltà a coordinarsi anche fra paesi vicini, con il risultato, ad esempio, che se non riesci a propormi, a me turista, la Torre di Pisa quella vera, ma solo una spiaggia qualunque, allora io turista tedesco me ne vado al mare in Croazia, bei posti, servizi migliori e prezzi più bassi e meno spocchia talvolta (e non a caso i croati definiscono l’Istria la “nostra Toskana” ala faccia nostra e la “vendano” come sistema). Per far questo occorrerebbe smantellare il provincialismo campanilistico, cosa dura lo so, esiste dai tempi di Dante coi pisani da annegare e i lucchesi imbroglioni e così via, e capire che noi siamo immersi in un patrimonio che non è rendita del passato per costruire stancamente un futuro, ma che il nostro futuro è proprio il meraviglioso territorio che abbiamo, da conservare che non vuol dire immobilizzare come non lo è mai stato in passato, un luogo che chi viene da fuori riconosca come suo, perché lo sente umano, ossia appartenente all’umanità. E allora potremo tirare fuori la nostra maglietta col cignale maremmano e dire orgogliosamente “io vivo in Toscana!”.