Il Cinema dei Margini
Il significato del termine margine (dal latino margo-ìnis) rimanda all’idea della parte estrema di una superficie.
Allo spazio, all’ambito entro cui qualcosa può attuarsi.
Nei fogli scritti o nelle pagine stampate, il margine è lo spazio bianco che si lascia sui quattro lati.
Nel cinema il margine è quel confine che sancisce la separazione tra un dentro e un fuori.
La soglia in cui realtà e irrealtà si scambiano.
Il Cinema dei Margini è, dunque, quella lente che ispeziona questi luoghi a metà.
Che ci mostra e ci traduce questi orli in cui le vite sono come fosforescenti.
Esistenze illuminate da una latente diversità sotto un’apparenza qualsiasi e regolare.
Bruciate da una dolorosa intensità.
A love song for Bobby Long
DATA USCITA: 08 ottobre 2004
GENERE: drammatico
ANNO: 2004
REGIA: Shainee Gabel
SCENEGGIATURA: Shainee Gabel
ATTORI: Deborah Cara Unger, Dane Rhodes, Brooke Mueller, Warren Blosjo, Douglas M. Griffin, Scarlett Johansson, David Jensen, Nick Loren, Patrick McCullough, Sal Sapienza, John Travolta, Gabriel Macht
FOTOGRAFIA: Elliot Davis
MONTAGGIO: Lee Percy
MUSICHE: Nathan Larson
PRODUZIONE: David Lancaster per el camino pictures , Stratus film co, Bob Yari productions, Crossroads film, Destinations film, Emmett/Furla films
DISTRIBUZIONE: Lucky Red
PAESE: Usa
DURATA: 119 min
FORMATO: 35 mm (1:1,85)
Dopo la morte della madre Lorraine, la figlia adolescente Purselane, da tutti detta Pursy, fa ritorno a New Orleans, città della sua infanzia.
Qui si stabilisce nella casa dove sua madre ha vissuto, costretta a muoversi in una balorda convivenza con due sconfitti inquilini:
Bobby Long un ex professore di letteratura;
e Lawson un aspirante e indolente scrittore.
Guarda l’invisibile e saprai cosa scrivere. Bobby Long diceva sempre così.
E quale se non New Orleans può essere la casa dell’invisibile?
La città bella e fatiscente dov’anche le stagioni hanno vita propria.
Qui è la zona al limite dove può trovare asilo quel margine nebuloso che ognuno di noi si crea per sopravvivere.
Quella urgente e disperata voglia di evitare una vita lontana che connette le esistenze, di Pursy, Bobby Long e Lawson.
Una convivenza tra reietti, tra confinati, tra diversi di varia diversità.
Ispirato ad un romanzo di Ronald Everett Capps Off Magazine street,
A Love song for Bobby Long descrive con l’inedita grazia e sensibilità della regista Shainee Gabel il lento e faticoso incontro di tre radicate solitudini a partire da quella acerba di Purselane (Scarlett Johansson) cresciuta in fretta come un’erbaccia, ma splendida e seducente come oro.
Ignara delle presenze che occupano la casa della madre appena scomparsa, Pursy vi prende posto. L’accolgono la dissolutezza di Bobby Long (John Travolta), eccentrico e fallito ex professore di letteratura, guida della cerchia di dimenticati che popolano il quartiere, personaggio di cui tutti subiscono il fascino in primis egli stesso; e Lawson (Gabriel Macht), fedele spalla di Bobby, compagno di disagi, nonché suo biografo. Interprete, quindi, delle sue frustrazioni e velleità.
È proprio nel tratteggio delle personalità di Pursy, Bobby e Lawson che risiede la forza della pellicola.
In questo timido e curioso racconto di come tre solitudini possano riuscire a comunicare e salvarsi tra loro dentro una casa.
Dentro una periferia.
Dentro il vizio condiviso di alcool e nicotina.
La fotografia di tre esseri abituati a convivere con la tristezza di un mondo nel quale crescere significa solo apprendere che l’isolamento è un destino comune, ma che in qualche modo ancora sognano in una forma tutta loro che ce li rende cari.
Fuori da ogni modello corrente chiuso e castrante, ci provano a New Orleans.
In quella porzione dimenticata di mondo in cui talvolta si può assistere alla nascita e alla resurrezione dei sentimenti più puri che legano le persone.
Scelgono di provarci con le parole.
Con la poesia.
Con un cuore cacciatore e solitario.
– Guarda l’invisibile e saprai cosa scrivere – Bobby Long diceva sempre così.
Era con la gente invisibile che lui voleva vivere.
Quelli a cui passiamo davanti ogni giorno, quelli che a volte diventiamo, quelli dei libri che vivono solo nell’occhio della mente di qualcuno.
Era un uomo destinato ad attraversare la vita, non a girarci intorno. Un uomo sicuro che la via più breve per il Paradiso passasse attraverso l’Inferno. Ma la sua vera disgrazia era una mente troppo esaltata e al tempo stesso mutilata da troppe storie e dall’aver scelto di diventare una di esse.
La tragica debolezza di Bobby Long fu il suo amore per tutto ciò che vide.