E mi alzo sui pedali (i ’90 di Marco Pantani)
Giugno 1999, il 5 per l’esattezza, l’estate era alle porte e gli anni ’90 stavano per vivere il loro finale non certamente avaro di fatti e sorprese. In quel Giugno ’99 stava per concludersi anche un giro d’Italia con un vincitore già annunciato e acclamato. Più di 5’ sul secondo con una nuova tappa in salita non potevano certo spaventare il nostro leader. Ma arrivò qualcosa che nessuno si aspettava. Qualcosa più forte di lui e di tutti. Delle analisi, dei dati sballati. Una mazzata insomma. Per lui e per tutti noi.
È da qui che voglio partire per ricordare il pirata, Marco Pantani.
Certo Pantani non aveva il viso giovane da modello di un McCartney o la classe di un Lennon, quel suo fisico secco, asciutto, consumato dalla fatica, quella pelle bruciata dalle solate non era paragonabile ai look dei fab four; ma come loro, anche lui, quando passava riusciva a far sognare la gente, riusciva ad arrivare dritto ai cuori.
Anzi diciamo pure che forse il fatto di essere più “brutto” (perdonatemi il termine) lo rendeva più avvicinabile, rendeva più facile identificarsi con lui, vederlo come “uno di noi”, fare il tifo e guardarlo con quella ammirazione senza invidia che è merce rara nei giorni nostri.
Marco Pantani è stato considerato uno dei migliori scalatori di sempre. La sua tecnica, il suo carattere e la sua forza in salita lasciavano poco spazio agli avversari. E il ciclismo, al contrario di tanti sport, ti guarda negli occhi, specialmente lì, in salita, se non hai i numeri non ce la fai.
Non ce la fai a vincere un giro e un tour nello stesso anno, non riesci a trionfare per caso in casa dei cugini, visto che l’ultima volta risaliva a 33 anni prima. I numeri parlavano chiaro.
Purtroppo però altri numeri hanno parlato chiaro. Quei numeri che condannarono il pirata a uscire da un giro già suo e soprattutto a entrare in un vortice buio di depressione e fantasmi dal quale purtroppo non uscì più.
Il cilismo ha preso tanti colpi bassi, tanti presunti eroi sono stati smascherati dal doping, ma Pantani era diverso, aveva un pezzo di Italia sulle spalle che tifava per lui. E non è facile farsi amare dalle persone se non sei vero. Così non poteva essere vero quel dato, quella squalifica.
Non sapremo forse mai cosa ci fu dietro a quelle analisi, se ci fu una congiura, se le cose erano in parte davvero così o se c’era dell’altro. A questo punto ogni spiegazione che arriverà sarà importante ma tardiva. Purtroppo.
Ancora mi manca quella bandana gialla stretta sulla testa di un pirata. Ancora manca identificarsi con la fatica di una persona che sfida se stesso e i record. Insomma ancora manca una figura come Marco Pantani. Solo oggi forse con Nibali possiamo avere un ideale passaggio di consegne. Un corridore finalmente pulito che ha fatto suo il giro e soprattutto il tour, un Italiano sul podio più alto ai campi elisi, ancora una volta, 18 anni dopo il pirata.
Sono convinto che Pantani resterà nei cuori di chi vive lo sport con passione, di chi pedala o corre per strappare anche un minuto di gloria… che sia quella dei riflettori o quella personale, quella che aiuta a sentirci ogni giorno più uomini.