Per me un caffè espresso!
Non sono una caffeinomane, nemmeno una da un caffè al giorno. Proprio non lo consumo. Se incontro un’amica che non vedo da lungo tempo alla proposta “Ce lo prendiamo un caffè insieme?” la mia risposta automatica è “Mmmh… Non lo bevo” passando da antipatica e maleducata. Al bar, se vengo presa in contropiede, mi butto sul ginseng e mi salvo in zona Cesarini. Non che non abbia tentato più volte di farmelo piacere, ho provato il macchiato, il decaffeinato, varie miscele da ogni parte del mondo, ma il risultato non cambia. NEPPURE IL CAPPUCCINO. Per questo noto con curiosità chi ne fa un uso spropositato e ne decanta i conseguenti innumerevoli benefici nello studio e lavoro. La magica bevanda ci permette di riottenere la concentrazione persa, ci fa superare la condizione di abbiocco post pasto e ci fa sentire più reattivi. La realtà biochimica è ben più affascinante poiché i veri protagonisti del nostro risveglio sono due neurotrasmettitori importantissimi, il glutammato e la famigerata dopamina. Il loro rilascio nell’organismo è regolato dal legame tra un particolare recettore e l’adenosina; se questa si va ad accumulare (per esempio quando siamo stanchi) si andrà a legare ai suddetti recettori negando il rilascio di queste sostanze “stimolanti” e avremo la sensazione di essere ancora più addormentati. Quando assumiamo caffè, la caffeina viene “sparata” verso questi recettori, viene scambiata per adenosina prendendone il posto fino al rilascio di glutammato e dopamina, donandoci quella bellissima scarica d’energia lungo la schiena.
Fin qui il ragionamento non fa una piega. Assolutamente falso: chi assume in maniera costante nel tempo alte concentrazioni di caffeina svilupperà una sorta di “assuefazione”: il nostro organismo produrrà un quantitativo di recettori tale che non tutte le molecole di caffeina vi si possano legare ogni volta, lasciando quindi spazio al legame con l’adenosina e rendendo totalmente inutile l’uso della sostanza. In pratica, facendo un esempio molto semplice, io assumo 10 molecole di caffeina. Finché ho 10 recettori tutto ok, ma se ne ho 1 MILIONE, beh… Capirete che il nostro organismo ci tiene a mantenere il suo equilibrio con tutti i mezzi in suo possesso! Ma allora perché nonostante questa guerra impari ci ostiniamo a credere nelle salvifiche proprietà del caffè? Si sa, l’effetto placebo è sempre dietro l’angolo, e anche in questo caso la colpa è del nostro cervello. La nostra prima esperienza con il caffè, unita alla credenza popolare, fa da modello anche per le situazioni successive; se è funzionato un paio di volte funzionerà sempre! Ora sapete come rispondere al prossimo amico che arriva da voi dicendo “Ho bisogno del sesto caffè, altrimenti dormo.”
Questo vostro amico potrebbe avere una mamma (evitiamo le battutacce) che gli intima con toni perentori di ridurre il numero degli espresso, a meno che non desideri trovarsi un bell’infarto tra capo e collo. Anche qua la mamma si sbaglia, e pure tanto: la caffeina ha la proprietà di aumentare la pressione sanguigna a breve termine e stimolare l’attività cardiaca tanto che studi del passato hanno associato il suo consumo a patologie cardiovascolari. In tempi più moderni l’Università di Harvard, quella degli studenti fighi e pure intelligenti, non solo ha negato l’esistenza di un collegamento con il maggior rischio di infarto o ictus, ma ha rilevato un lieve effetto protettivo della bevanda sul tessuto cardiaco. In soldoni, chi beve quattro tazze di caffè al giorno avrebbe l’11% di probabilità in meno di sviluppare insufficienza cardiaca rispetto a chi (come me) non ne beve affatto. Il figlio potrebbe rispondere alla saccentissima madre che ulteriori studi hanno dimostrato che chi beve le solite quattro tazze al giorno ha meno possibilità di ammalarsi di diabete in vecchiaia (diabete di tipo 2), merito degli antiossidanti contenuti all’interno della miscela che proteggono dai processi metabolici pericolosi. Ale’! Anche protezione dai tumori! E dall’Alzheimer e dal Parkinson! Fedra cara, stai sbagliando tutto, lo sai?
La mia ritrosia alla bevanda è data anche dagli unici due effetti collaterali negativi, che fortunatamente colgono la sottoscritta su un millino di altre persone. Il caffè ritarda il sonno? Certo, ne riduce la qualità, la durata e ritarda l’addormentamento. Oltre agli studi lo prova anche il fatto che dopo le 20 non posso bere nemmeno il the. Addirittura anche se assunta sei ore prima di coricarsi, la caffeina può farci dormire scomodi. L’altro simpatico effetto collaterale è il nervosismo: il caffè è un eccitante naturale ma chi ne consuma troppo rischia tachicardia, sintomi ansiosi e sudorazione; è altamente sconsigliata l’assunzione a chi soffe di stress poiché alcuni pazienti sono passati facilmente dal bersi una decina di tazze all’attacco di panico. Perciò se mi trovate in giro con un bel caffè siete avvertiti. Scappate prima che vi attacchi con la mia famosa chiacchiera da espresso intenso.