Il Cinema dei Margini
Il significato del termine margine (dal latino margo-ìnis) rimanda all’idea della parte estrema di una superficie.
Allo spazio, all’ ambito entro cui qualcosa può attuarsi.
Nei fogli scritti o nelle pagine stampate, il margine, è lo spazio bianco che si lascia sui quattro lati.
Nel cinema il margine è quel confine che sancisce la separazione tra un dentro e un fuori.
La soglia in cui realtà e irrealtà si scambiano.
Il Cinema dei Margini è, dunque, quella lente che ispeziona questi luoghi a metà.
Che ci mostra e ci traduce questi orli in cui le vite sono come fosforescenti.
Esistenze illuminate da una latente diversità sotto un’ apparenza qualsiasi e regolare.
Bruciate da una dolorosa intensità.
Below Sea Level
In un recesso del deserto californiano, all’interno di una dismessa base militare, vive una comunità di homeless la cui quotidianità è scandita da una vita alternativa e arrangiata nell’attesa dell’ arrivo incerto di una seconda occasione.
TITOLO ORIGINALE: Below sea level
REGIA: Gianfranco Rosi
GENERE: Documentario
DURATA: 110 min
ANNO: 2008
“La verità del documentario è trovare l’intimità della persona che stai filmando ed esprimerla”.
Questa è la chiave d’accesso che Gianfranco Rosi ci fornisce per addentrarsi nel suo cinema del reale.
Con Below sea level, documentario completato in tre anni di riprese, il regista ci conduce ai confini del deserto californiano, a Slab City, una base militare dismessa a duecentocinquanta kilometri da Los Angeles e quaranta metri sotto il livello del mare.
Qui la camera di Rosi sceglie di avviarsi e farsi testimone di ciò che è invisibile ad occhio nudo: una piccola comunità di vite parcheggiate.
Filmando senza filtri il quotidiano di questa fetta di umanità dimenticata dal mondo, il cineasta ce ne restituisce l’essenza.
L’intimità.
Talvolta la poesia.
Lo fa con misurato silenzio e con rispetto, rivelandoci i particolari più preziosi ed essenziali delle disperse esistenze di Mike, Lily, Wayne, Cindy, Carol e Sterling.
Come a volerne conservare la dignità in ogni immagine.
Immagini autentiche quelle che ci parlano tra disperazione e alienazione.
Immagini generate dal rapporto di completa fiducia instauratasi tra Rosi e i personaggi, dal loro intenso rapporto.
Cos’è, infatti, un documentario se non la risultante di una relazione tra l’occhio di chi vede e quello di chi viene visto?
È un incontro sacro, come sacro è il momento in cui il regista sceglie di esibire la telecamera per registrare l’unicità di quello che guarda in tutta la sua integrità.
E se poi riesce pure nel critico compito di farvi completamente immergere lo spettatore, allora, ogni distanza si annulla.
Ogni frammento è epifanico.
È vita vera.
È reale.
Non resta, quindi, che rendere grazie a questa mano eletta.
A chi si propone di portare alla luce quei non luoghi che stanno in fondo.
Lembi in cui si levano le voci di chi è invisibile.