L’EDITTO SCOLASTICO
In un giorno di gennaio del 2015 arrivò in tutte le scuole di una provincia (nome quanto mai esecrato) del Regno, ops! della Repubblica, un particolare editto che, con tono perentorio tipico della burocrazia e con un linguaggio altrettanto burocratico, un (oscuro) funzionario comunicò ai cittadini–sudditi che “considerato il particolare momento di difficoltà economico finanziaria” si dovevano contenere i costi, norme rese ancora più urgenti dal fatto che l’Illustrissimo Governo avrebbe attuato “ulteriori tagli alle risorse dell’Ente”, ossia la provincia. Per la serie, nonostante siamo responsabili delle scuole, l’Illustrissimo Governo ci dice “arrangiatevi, non vi diamo più soldi per pagare luce, acqua, riscaldamento, ecc. ecc., sono cose superflue, d’altri tempi, degni di una scuola alla De Amicis”. Quindi l’oscuro funzionario dice: non possiamo più mantenere questi lussi quindi dovete, dico dovete, chiudere la scuola per un giorno la settimana. Pensate voi che qualcuno vi rimproveri? Ma no, camuffatela da fine settimana lungo, roba da gaudenti ottimisti, altro che questa lagna della scuola. Cosa importa che gli studenti prolunghino, in certe scuole, il tempo scuola fino al pomeriggio (tipo una bella settima ora nel pomeriggio, a mente fresca), cosa importa che siano pendolari e debbano ritornare a casa a pomeriggio inoltrato, cosa importa che non ci siano mense per loro. L’importante è risparmiare sulla carta igienica.
D’altra parte cosa ci dobbiamo aspettare da un ente della periferia del Regno che ci hanno strombazzato che doveva essere abolito e che invece è sempre lì, immobile con le sue funzioni e i suoi apparati, solo, particolare secondario, senza soldi, aboliti dall’Illustrissimo Governo così come la parte elettiva, ossia le Province noi non le votiamo più, non abbiamo più alcun controllo. Ed infatti gli editti li lanciano oscuri funzionari ai quali del voto democratico interessa il giusto, ossia nulla. E questo è accaduto nello stesso giorno in cui il sedicente Ministro della Pubblica Istruzione dell’Illustrissimo Governo parla in un’intervista di cose mirabolanti, di materie insegnate in inglese ai bambini delle elementari, di livelli europei, di investimenti fantastici. Si parla di “buona scuola”, di referendum online, ma forse sarebbe bene che la suddetta sedicente venisse raggiunta da qualche messaggero proveniente dalla varie parti del regno che le riferisse che in certe remote province le scuole si devono chiudere in certi giorni perché non è più possibile pagare le bollette della luce e del metano. Magari ancora un anno ed uscirà un nuovo editto che impone di chiudere la scuola due giorni e tutti zitti e muti; vuoi mettere un week end lunghissimo?
E allora qualcosa non funziona. È vero che non si deve essere pessimisti per pregiudizio, ma come si può definire un paese che non riesce ad investire in istruzione, che anzi disinveste, che non riesce a gestire il proprio futuro e che per questo è condannato ad una lenta ma inesorabile decadenza. Che passa inevitabilmente anche dalla meschina questione di bollette impossibili da pagare, altro che scuola virtuale, quando quella reale si schianta su gabinetti non funzionanti, sui termosifoni freddi e tagli, tagli, tagli…
P.S. La provincia di cui si parla è quella di Livorno, ma non ditelo a nessuno!