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Ritornare / Ricordare

ricordare

amico giaguaro

Ritornare / Ricordare

Si avvicina la Giornata della Memoria del 27 gennaio. Come sempre ogni anno iniziative di ogni genere, scolaresche “costrette” all’ascolto di lunghe conferenze, il rischio perenne di una ritualità della morte che perda a poco a poco valore (e gli altri 364 giorni non dobbiamo ricordare?). E allora un’amica mi ha suggerito cosa significa “ricordare”, una cosa semplice, una voce da vocabolario, ma che era rimasta seppellita nelle “celebrazioni della memoria”. “Re” indica il ritorno, “cordare” richiama il latino cor, cordis, cuore. E allora ecco che tutto si rivela: ricordare, coltivare la memoria, significa ritornare alle ragioni o meglio alle emozioni del cuore che nessun rituale potrà cancellare.

Cosa farò da grande?

A proposito di ricordo, ricordate Aylan, il bambino siriano profugo morto sulla battigia di una qualunque costa turca? L’immagine del corpicino affogato fece il giro, postato e ripostato sui social network con fiumi di lacrime virtuali. Passato nel “domenticatoio” del grande blob delle informazioni, ecco che ritorna in una vignetta satirica di Charlie Ebdo: “Cosa sarebbe stato il piccolo Aylan se fosse diventato grande?”, un medico? Un astronauta? Un costruttore di Lego? No, sarebbe stato uno stupratore seriale come gli squallidi individui che hanno funestato la notte di Colonia e fatto un danno enorme alla convivenza pacifica. E infatti nella vignetta accanto al corpicino spiaggiato si vede un individuo col naso a forma di maiale che corre dietro a una polputa tedesca. Ora mi chiedo: la satira deve essere libera, aggressiva, irriverente, altrimenti non è satira e quindi va bene a prescindere, ma, attenzione, chi dice questo deve dire che era satira anche quella dei giornali nazisti contro gli ebrei, con il solito semita col naso adunco e le mani rapaci e il tedesco bello e biondo. Sai le risate che facevano i lettori del paesino dell’alta Baviera. Anche perché dietro ogni vignetta ci sta un disegnatore e costui ha un pensiero che in questo caso è parecchio razzista. Quindi tutta la satira è pubblicabile, ci mancherebbe, libertà piena, ma permettetemi di dire che il pensiero di costui è parecchio squallido e mi ha fatto sentire un po’ meno “Charlie Ebdo”.

Prosciutti.

Sfogliando l’ultimo numero dell’”Espresso” leggo questa notizia dalla civile Emilia (l’ex rossa e gaudente Emilia), riferita ad uno dei prodotti vanto della terra, i prosciutti e simili.

CASTELNUOVO RANGONE (MODENA) – Cesare ha 55 anni e le mani grandi. Gli occhi chiari e la voce profonda come le sue rughe. Lavora nei mattatoi da quando era ragazzino, macella i maiali che diventeranno prosciutti, che verranno firmati da aziende dai nomi importanti e con fatturati da milioni di euro. Cesare, dopo 38 anni di lavoro, fa turni massacranti. E viene pagato 4,50 euro l’ora. Prima della crisi era un operaio specializzato, oggi si deve accontentare per disperazione. Francesco, invece, ha 42 anni e ormai non riesce neanche più a tenere in mano un coltello. Ha i muscoli e i tendini usurati. Fa sempre lo stesso movimento, a ripetizione, senza sosta: lo stesso taglio ogni 3 o 4 secondi. Disossa polli per 12, spesso 15 ore al giorno. E gliene pagano meno della metà. Ma ha una moglie e un figlio. E nessuna alternativa”.

In quei 4,50 euro all’ora per 12 – 15 ore di lavoro, in quella disperazione dell’ex operaio specializzato Cesare, nel ricatto occupazionale, c’è già tutta la falsità della narrazione ufficiale della realtà in cui va tutto bene, dont’worry, be happy.

C’è il perché in Emilia, una delle regioni più partecipative, alle elezioni regionali abbia votato il 38% fra l’indifferenza generale (con un presidente eletto col 16% dei voti), perché ormai la politica corrente non riesca a dare più risposte oltre a parlare di “gufi”. Eppure il ministro del Lavoro è un tal Poletti, miracolato dalle cooperative emiliane e cantore del job act declinato all’inglese, in cui il lavoro vale 4,50 euro all’ora. Forse perché certa presunta classe dirigente, oltre al prosciutto, vende a fette anche la dignità.

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