La violenza innocente dei videogiochi
Non lo dico io eh, lo dice chiunque pronunci una frase con la parola “videogiochi” all’interno.
Ormai è un must, esce un nuovo videogioco e una marea di intelletualoidi dice che questi videogiochi brutti e cattivi trasformano i giovinastri in spietati serial killer.
Ora, se leggete questo blog da almeno un paio di settimane, saprete benissimo che se affronto il tema, ci scrivo un testo e lo sbatto qui è perché reputo tutto ciò una succosa e imponente ammucchiata di cazzate.
Sì perché ormai dare la colpa ai videogiochi se un giovane elemento della società commette un qualsiasi reato è diventato lo sport nazionale (dopo il calcio, ovviamente…).
Un esempio classico sono le dichiarazioni di celebrità e giornalisti ad ogni uscita di un nuovo capitolo di Grand Theft Auto (che per comodità chiameremo GTA, acronimo decisamente più conosciuto del titolo intero), tutti a parlare delle cose terribili che accadono in questo gioco del demonio.
Ovviamente non hanno mai avuto a che fare con quel genere di videogiochi, quindi ogni volta è la sagra della stronzata.
I giovani d’oggi quindi sono tutti violenti, tutti terribili e criminali a causa dei videogiochi.
Ma basta fare un piccolo ragionamento per far sì che questo incredibile castello di carte vada giù come foglie al vento in un pomeriggio d’autunno.
I videogiochi esistono ormai da un bel po’, ma i pazzi criminali li hanno inventati prima.
È vero, ci sono videogiochi violenti e non proprio adatti ad alcune fasce di età, ma siamo proprio sicuri che sia colpa loro se nel mondo moderno c’è chi entra in una scuola e spara ad altezza bimbo?
Come al solito, qui si indica la luna e la gente guarda il dito.
– Giusto per informarvi, nella prossima parte attaccherò un pippone nostalgico stile “ai miei tempi”, quindi se leggete e vi lamentate di tale pippone non date la colpa a me, vi ho appena avvertito a riguardo –
Ci sono parti della mia fanciullezza che non ricordo, altre che ricordo più o meno ed altre ancora che ricordo abbastanza bene.
Tra quelle che ricordo bene ci sono le visite a rotten.com, un sito internet allegrone con gente mutilata, carni marce e cervelli al di fuori della scatola cranica.
Ricordo bene anche le mie prime esperienze da “gamer”, facendomi grasse risate con giochi del calibro di Unreal Tournament e Carmageddon II: carpocalypse now.
In entrambi i casi lo schermo era intriso di violenza assurda: in Unreal Tournament si combatteva in un’arena spappolando gente con armi di vario genere, in Carmageddon II lo scopo del gioco era gareggiare con auto adeguatamente modificate per spappolare gente e guadagnare tempo sufficiente per finire la corsa.
Se applicassimo la logica comune alle mie esperienze, a quest’ora dovrei andare in giro per le città a seminare terrore, sangue ed organi investendo persone ed animali con la mia auto oppure spaccare teste a destra e a manca con armi improvvisate.
E invece, chissà come mai, sono uno di quelli che in macchina rompe i coglioni per far rispettare il codice della strada e che condanna quasi ogni tipo di violenza (tranne quando bisogna difendersi).
C’è un elemento chiave che differenzia i miei 8 anni dagli 8 anni dei bambini di adesso: io (e non solo io) sapevo che tutto ciò non era reale, che era una finzione, che era una realtà inesistente e indolore.
Sapevo che ciò che stavo facendo in quei videogiochi non era (e non è tutt’ora) né consentito né giusto fare nel mondo reale.
Oggi invece questa differenza non c’è, e la causa è anche da attribuire ai genitori che non hanno la voglia di spiegare ai propri figli questi semplici concetti comuni.
La violenza nei videogiochi non solo è un fenomeno ingigantito da tutti, ma secondo me – e qui vado All In con la credibilità – è anche terapeutica: capita di passare una giornata pesante piena di incazzature e nervosismo, tutto ciò che faremo successivamente sarà influenzato da questo stato d’animo per niente tranquillo.
E cosa c’è di meglio di sfogarsi facendo un macello in una città che non esiste?
– Io un’idea ce l’avrei, ma siamo in fascia protetta –