Se fossi stata al posto di Tess, probabilmente non avrei avuto il suo coraggio.
Immagino la scena: una cittadina svedese, gente lungo i bordi della strada, negozi aperti. Magari qualche gestore si affaccia dalla porta, spia da una vetrina il movimento che avanza. Passi sull’asfalto, cadenzati, regolari, pesanti come pesa un certo tipo di storia sulla memoria del mondo. Sulla nostra memoria.
È un suono lugubre, perché è lugubre quello che racconta.
Trecento persone avanzano pestando sui piedi, negli occhi lo sguardo fiero di chi sente di essere dalla parte giusta e io mi chiedo se quello sguardo è così profondo da toccare il cuore, da far coincidere le ragioni.
Il corteo è fitto, si muove convinto di non avere ostacoli, di poter procedere senza fratture, senza ripensamenti. Un piede segue l’altro, la direzione è una sola.
Un piccolo fiume la cui superficie è liscia, omogenea. Nessuno si aspetta pietre che affiorino dall’acqua e ne dividano il corso.
Se fossi stata al posto di Tess, probabilmente mi sarei fatta da parte.
Avrei scosso la testa piena di biasimo per quel corteo, avrei protestato in silenzio, forse avrei gridato qualcosa: un insulto, una preghiera, un’idea.
L’avrei fatto con la rassegnazione di chi sa di non poter cambiare le idee altrui perché non le considera idee, quindi le toglie dalla storia. Avrei cercato la forza di tenere alto lo sguardo, avrei fatto un passo indietro, poi, animata dal coraggio di un attimo, ne avrei fatti due in avanti.
Se fossi stata al posto di Tess probabilmente non sarei stata la pietra che affiora dall’acqua.
Sarei stata il greto del fiume, l’erba sui dossi, il ciottolo che devia con l’aiuto di altri ciottoli, ma da solo non spezza.
Se fossi stata al posto di Tess.
Non sono Tess.
Tess è una donna che di cognome fa Asplund e che durante una manifestazione di trecento neonazisti svedesi si è piantata in mezzo alla strada, con un pugno alzato e lo sguardo fermo. Quella è stata la sua protesta, fare la parte della pietra che divide l’acqua in due. Sapeva di non poter fermare la corrente, una pietra sola non ce la fa. Il corteo è andato avanti per la sua strada, qualcuno si è fatto da parte trovandosela di fronte. Qualcuno avrà guardato altrove, qualcun altro avrà cercato di sostenerne gli occhi. La cosa che conta è che Tess non si è mossa da dov’era, fino a quando non è stata allontanata.
Immagino il momento: uno di quelli del corteo cammina, ha il petto gonfio d’orgoglio, magari lotta contro un sorriso che gli piega appena l’angolo della bocca. Vuole essere serio, risoluto. Le palle degli occhi roteano di qua e di là. Ignora il consenso di chi è dalla sua parte e si bea del dissenso, convinto di rappresentare la forza, di avere qualcosa da difendere: una lingua, una razza, un credo. Poi si trova di fronte questa pietra che lo fissa e oltre le venature, oltre i riflessi trova la vita, l’orgoglio di difendere una sola razza: quella umana.
Adesso la foto di Tess fa il giro del mondo ed è molto probabile che avrà modo di farsi una bella passeggiata anche nella storia, perché il potere di certe immagini è quello di metterci un attimo a divenire simbolo, a regalare ai posteri il significato che meritano. Tess è in piedi, a testa alta, il suo pugno chiuso è puntato contro il cielo e gli occhi guardano chi le va incontro.
Io non sono Tess. Se fossi Tess oggi sarei già dentro la storia.
Foto da La Repubblica