BUONISTA/CATTIVISTA
Non so perché ma tutte le volte che sento dire “buonista” mi viene una crisi di rigetto. Solitamente è associato con disprezzo a gessetti colorati, fiorellini del prato e a tutto un atteggiamento ebete di chi non conosce il mondo. In genere si associa al fenomeno “migranti” come se la complessità del fenomeno epocale si potesse associare a posizioni da paese di Rio Bo. In concreto “buonista” è, secondo i “cattivisti” ogni persona che cerca di ragionare con pro e contro, aldilà di urla e grugniti. Ossia “buonista” è chi ha il dubbio della ragione in un mondo vasto e terribile come il nostro. Ecco perchè quando sento la parola “buonista” divento “cattivista” verso chi la pronuncia.
SUICIDIO
È l’atto finale, terribile, il rinunciare al mondo, alla lotta, il vedere buio intorno a sé. Dannazione e pietà, gli alberi torti e velenosi “fra Cecina e Corneto” di Dante e la solitudine dell’individuo nel cuor della terra. Il trentenne veneto che si è ucciso perché non resisteva più ad una società senza prospettive, che non sopportava più la precarietà, che si sentiva marginalizzato, invisibile da parte di un mondo che non sa ascoltare e misurare la sensibilità di un individuo. Ma soprattutto che non sa dare il senso ad un’intera generazione che è presa in giro dal tronfio e inutile ministro di turno (che quando lo vedo divento “cattivista”), che dice che in fondo all’estero vanno i peggiori. Vite a perdere.
CAMBIAMENTO
Intanto guardando dalla prospettiva Toscana più vicina si è notata un’accelerazione della politica in nome del cambiamento per il cambiamento, sì, ma dove va il cambiamento. Anche Mussolini nel 1922 aveva operato un cambiamento, ma che vuol dire? Ecco e la mancanza di dare un senso al cambiamento che ci manca. Quando sento “sì, ma il tale ha cambiato… ha rottamato”, verissimo e questo è un piccolo atto di accusa contro chi c’era prima, ma come ha cambiato? Ecco questo sembra non chiederselo più nessuno. Così come è sparita la narrazione ossia esiste una narrazione ufficiale della politica che spesso è schiacciata su quella del governo o altrimenti la rincorre, mentre invece occorre una narrazione autonoma, che vada sui problemi. Inoltre la scomparsa di quelli che Montesquieu chiamava corpi intermedi (come vado indietro, altro che prima repubblica!) che allora erano accademie, giornali, ecc. che davano forma alla società civile e che oggi dovrebbero essere i partiti, non certo i partiti-chiesa del novecento, ma partiti e associazioni dal basso che abbiano un minimo di radicamento e che siano capillari, che abbiano voglia di parlare ma soprattutto di ascoltare. Non basta tuttavia la sola associazione dal basso, utilissima come corpo intermedio, ma che poi deve avere per forza una dimensione politica altrimenti si ritrova succube di ogni colpo di vento. Insomma riprendiamoci la narrazione del cambiamento e non lasciamola al primo “bomba” che passa.