Vorrei scrivere di casa mia e per farlo, ricorderò il giorno in cui, dovendo raccontare l’Umbria in un articolo, parlai di una natura senza criterio: pendenze selvatiche a ridosso di campi di girasoli.
La bellezza di casa mia è nota nel mondo e per quanto mi riguarda, potrebbe essere l’equivalente “geomorfologico” di una sinfonia di Mozart, linee di alberi tra colore e colore, che qua e là piegano dove inizia un bosco, dove si perde un sentiero. L’Umbria ha un’anima selvatica e in più ha la dolcezza dell’orizzonte nella zona lacustre, ha la durezza degli Appennini nella parte orientale, ha la musica delle sue colline, delle sue vigne, dei casolari persi tra i boschi, dei suoi giardini. Potrei andare avanti per pagine e pagine e comunque l’idea data corrisponderebbe a una minima percentuale di ciò che quella terra ha da offrire.
Il territorio umbro è variegato quanto i dialetti che si parlano: a nord si avvicinano a quelli emiliani, al centro ricordano i toscani e nella fascia meridionale sono più vicini a quelli laziali, marchigiani e abruzzesi. Il mio docente di linguistica italiana ci diceva spesso che i dialetti sono una risorsa che va perdendosi, decennio dopo decennio. Regalano spaccati di un tempo che non c’è più, raccontano storie e tradizioni e funzionano meglio di un navigatore satellitare. Per me, ad esempio, i dialetti sono come i profumi: si legano ai posti seguendo l’istinto.
Negli ultimi mesi il mio istinto ha lavorato parecchio: l’esposizione mediatica in seguito allo sciame sismico, che da agosto ha investito parte del centro Italia ha fatto sì che, a chi era lontano da casa come me, capitasse spesso di sentir parlare dialetti conosciuti, di riconoscere profili, cadenze, termini particolari, elementi che non avevano altro risultato se non enfatizzare ulteriormente il dolore per le vittime, i borghi provati dalle crepe, la natura sconvolta.
Che l’Umbria viva principalmente di turismo, si sa. Che ad attrarre il turismo siano tradizioni, religione, storia, arte e natura è cosa ancor più nota, ma in qualche modo il terremoto è riuscito ad arrivare persino dove non è stato percepito e cioè, in gran parte dei territori umbri. Da qualche mese a questa parte in quei territori, a causa delle generalizzazioni di alcuni media, si è verificato un preoccupante calo dell’afflusso turistico, situazione che sta mettendo in crisi numerosi esercizi. Da alcune settimane, grazie a una campagna di promozione mediatica, si cerca di prendere il senso opposto di questa corrente avversa e riportare le cose alla realtà, ma per farlo è necessario che le persone siano consapevoli del danno che tale corrente sta recando a tanti. Molti esercizi come alberghi, ristoranti, pensioni e B&B stanno riportando notevoli danni economici e il prossimo passo, per tanta gente, rischia di essere la perdita del lavoro: si tratta di una crisi che si autoalimenta e che ha tratto giovamento dalla diffusione di dati non veri, dal bisogno di inseguire un allarmismo che fa sempre notizia e di accendere i riflettori su elementi che non erano coinvolti, quando sarebbe stato fondamentale puntarli altrove, per avere un’utilità concreta: ad esempio su tutti i piccoli borghi svuotati della vita, della propria anima e rimasti nell’oblio dell’anonimato, perché all’ombra di centri più in vista.
Ho cominciato a scrivere dicendo che il desiderio era parlare di casa mia, ma ripensandoci, non era necessario. Casa mia, bene o male, la conoscono tutti. Ciò che non è noto, è il danno di riflesso che sta subendo. Dal canto mio, se avessi i mezzi e le possibilità, prolungherei di un’ora buona gli spot promozionali girati nelle ultime settimane; se potessi, ne farei un film, tanto in questi casi la sensazione è sempre che il tempo non basti e che le parole abbiano un ruolo relativo: in questi casi sono molto più utili le immagini.
Foto di Alessia Ravanelli.