PUZZA DI PIEDI
Non è che la notizia mi sconvolga, ma vengo a sapere che Filippo Facci, il giornalista di “Libero” che si presenta sempre in tv con la faccia da caterpillar per mettere paura ai telespettatori, è stato sospeso dall’Ordine dei Giornalisti. Subito si sono alzate in sua difesa cotanti giornalisti italiani, fra cui “un colpo al cerchio / un colpo alla botte” Enrico Mentana, per denunciare lo scandalo. Ora si può discutere quanto si vuole su un’organizzazione vetusta, in parte inutile (vedi il diffondersi del precariato nei giornali), in parte autoreferenziale, come l’Ordine che, con questo nome, già mette in testa idee di ribellione disordinata, ma sentiamo cosa ha scritto il Facci sul suo giornale giustificando il suo odio verso l’islam in generale, come religione e come civiltà. “Odio la puzza di piedi, i tappeti polverosi, i culi sul mio marciapiedi, il loro cibo da schifo, quel manualetto militare che è il Corano”. Questa raffinatezza di analisi (è solo un pezzetto) che ricorda le pubblicazioni antisemite della Germania nazista degli anni Trenta con l’ebreo sudicio e col naso adunco, viene giustificata come libertà di espressione. Magari domani verrà pubblicato un articolo così raffinato di analisi antisemita e naturalmente Mentana dovrà dire che l’Ordine non deve sospendere, senza mezza parola sul contenuto che questo squallido razzista ci propina. Attenzione è vero che il terreno può essere scivoloso, che si può parlare di censura, ma è solo questione di forma? O bisogna iniziare a parlare anche di contenuti? E allora possiamo dire che a un personaggio come Facci puzzano i piedi, che non vogliamo il suo culo davanti al nostro marciapiede, che mangia da schifo, che scrive da schifo. Ovviamente non lo dirò mai, anche se non sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti.
SESSO E MAZZATE
Leggo sulla stampa di ieri (“Il Fatto Quotidiano”, ma anche altri giornali online) che la procura di Brindisi ha arrestato quattro persone accusate di caporalato al servizio di alcuni grandi proprietari agricoli pugliesi. Si tratta di braccianti donne, quasi tutte italiane (così togliamo subito l’equivoco dei soli extracomunitari) che lavoravano illegalmente per mesi, a salari ridotti, nei campi della Puglia per rifornire la grande distribuzione di quei prodotti che noi compriamo tranquilllamente ai supermercati. Ovviamente il caporale sottoponeva le braccianti ad altre imposizioni come il pagamento del trasporto e minacce fisiche, anche sessuali. Dalle intercettazioni ambientali si scopre che uno di questi gentiluomini paragonando queste donne, spinte al lavoro dal bisogno, a “mule e capre”, diceva che loro capiscono solo “sesso e mazzate”. Dato che ormai questi sono fenomeni diffusi (anche se la nuova legge sul caporalato è stata un passo avanti), dato che nessuno può più dire da tempo “io non sapevo”, ecco che mi vengono cattivi pensieri, qualcuno direbbe molto radicali, ossia un bell’esproprio pubblico delle terre dove queste poveracce sono costrette a lavorare. Mai mazzate (metaforiche s’intende) sarebbero assestate meglio.