Il 16 marzo del 1736 (esattamente 282 anni fa) moriva il grande Giovanni Battista Pergolesi. Qui di seguito un brano a lui dedicato:
“Eppure, nonostante fosse nel pieno della giovinezza e il
successo gli arridesse, Giovanni Battista Pergolesi sentiva diminuire
continuamente le proprie forze. Secondo alcuni la sua delicatissima fibra, sempre più debilitata dalle sofferenze fisiche
e morali, cedeva, ormai stanca e spossata, agli attacchi
della tisi; secondo altri si era innamorato di una ragazza
di nobile famiglia, ma il fratello di lei si era opposto alla
loro unione, considerando il musicista di modeste capacità
e bassa condizione sociale. Così, i due giovani innamorati
avevano deciso di fuggire. Scoperti, la fanciulla era stata
segregata nel castello di famiglia e Pergolesi, distrutto dal
dolore, aveva abbandonato ogni attività e si era ritirato nella
bella Pozzuoli, nel convento dei frati Cappuccini.
Dunque, nel febbraio del 1736 Giovanni Battista si rinchiude
lì, nel convento annesso alla chiesa. Può contare
sulla protezione del duca di Maddaloni, discendente dei
fondatori del convento. Nutre la speranza che il clima mite
e l’aria salubre di Pozzuoli arrechino un qualche giovamento
alla sua delicatissima salute.
(…). Moribondo, termina
il capolavoro che lo renderà immortale: lo Stabat Mater,
commissionatogli l’anno precedente dalla Confraternita di
San Luigi di Palazzo sotto il titolo della Vergine dei dolori
di Napoli, dove lo aveva iniziato.
È un’opera di notevole forza espressiva, un magnifico
esempio di meditazione interiore e purezza stilistica. Lo
Stabat Mater fu il suo bellissimo canto del cigno perché Pergolesi
spirò pochi giorni dopo averlo terminato, il 16 marzo
1736, non essendo riuscito a riprendersi dalla malattia
polmonare che da anni lo affliggeva.
Era giovanissimo: aveva soltanto ventisei anni, due mesi
e tredici giorni. Tra le mura del convento di San Francesco,
divenuto in seguito manicomio femminile, si erano dipanati
gli ultimi giorni della sua sfortunata esistenza terrena.
Essendo indigente e “straniero” fu sepolto il giorno
seguente nella fossa comune dei poveri – come più tardi
accadrà a Mozart – all’interno del duomo della città, la
cattedrale di San Procolo. Ma lui fu ancora più sventurato
del celebre collega austriaco, perché fu rapito all’arte di
ben dieci anni più giovane, perché fu estremamente solo
(al suo capezzale non c’era nessuno a offrirgli conforto) e
visse in tale povertà che, per pagare il funerale, le messe e
qualche debito, si dovettero vendere i pochi beni che aveva
portato con sé da Napoli.
Il suo destino fu certamente singolare: la sua vita fu breve
e la sua promettente parabola musicale ancor di più. La
sua esistenza fu segnata da una salute cagionevole, ma la
sua attività artistica si rivelò intensa e luminosa: si compì in
soli cinque anni di febbrile attività, eppure fu in grado di
lasciare una manciata di composizioni indimenticabili che
hanno segnato profondamente la storia della musica. La
sua opera ne ha tramandato il nome nei secoli”.
(“Eterni – Vite brevi e romantiche di grandi compositori”. Vololibero edizioni, 2018)