Ciao Susy Bellucci, donna di Toscana
Lunedì 16 luglio, a 70 anni, purtroppo ci ha lasciato la cantante Susy Bellucci (27/12/1947 – 16/07/2018). Qui potete trovare una mia intervista in cui Susy si racconta e racconta i grandi cambiamenti a cui ha assistito nella sua vita.
Ci vuoi sintetizzare il tuo percorso artistico?
Fin da piccola non facevo che cantare: era proprio una cosa inarrestabile per me. Poi, intorno ai 16 anni, andai a lezione di impòsto della voce da una brava insegnante di canto, ma senza mai pensare veramente di diventare cantante professionista.
Tutto successe all’improvviso, quando ero già grandicella, intorno ai 26 anni. Per puro caso fui inserita nel progetto di un album tutto al femminile ideato da Vincenzo Micocci, mitico produttore, scopritore di tanti cantanti famosi, da Bobby Solo a Francesco De Gregori, da Antonello Venditti a Rino Gaetano. Io all’epoca avevo cominciato a scrivere canzoni insieme a un’amica, così due dei nostri pezzi furono inseriti in questo LP (“Le cantautori- settembre 1975: musica dal pianeta donna”, NdA). Questo fu l’inizio, ma subito dopo ci fu il successo di “My name is potato”, una canzone scritta da me e da Fabrizio Federighi: questo brano, interpretato da Rita Pavone, vendette centinaia di migliaia di copie. Per una serie di motivi poco dopo tornai a Firenze, e qui fui chiamata come cantante nel gruppo “Cartacanta”, con il quale realizzai l’LP “Il tempo delle ciliegie”. Seguirono due anni di divertentissimi concerti. In seguito allo scioglimento del gruppo, ho poi vissuto un periodo piuttosto ritirato, limitandomi a fare la vocalista per le pubblicità. La mia vena creativa è riesplosa nel 1998, con l’uscita del CD “Le figurine di Gallo Cristallo”, un album per l’infanzia di qualità eccezionale, realizzato in collaborazione con il mio compagno di vita, Giulio Clementi, musicista e produttore, e con la partecipazione di amici musicisti straordinari, come Stefano Bollani, Flavio Cucchi, Giovanni Unterberger e tanti altri. Questo CD fu definito dalla stampa “un disco-evento”, e in effetti nel tempo ha dimostrato, con la sua affermazione nelle scuole, nelle famiglie e con il suo uso continuato nella didattica e nel gioco, di esserlo stato davvero. Anche lo spettacolo “Le figurine di Gallo Cristallo in concerto”, che fece seguito all’uscita del disco, si è imposto al gradimento entusiastico di grandi e piccini. Io e Giulio abbiamo poi realizzato altri due CD per l’infanzia, “Dormi DO” e “Il pulcino Duduggi”, mentre nel 2002 è uscito “Donne di Toscana”, un tuffo nel mio vecchio amore, il canto toscano, sempre presente in me, donna toscana purissima. Infine nel 2011 è uscito “Di lago”, il mio primo CD da “cantautrice”, che ha di nuovo visto la partecipazione di tanti favolosi amici musicisti.
Un discorso a parte lo merita Stefano Bollani, che per amicizia e stima reciproca ha partecipato alla maggior parte della mia ultima produzione. Quando l’ho conosciuto era un ragazzo di enorme talento, adesso è quello che tutti sappiamo. Abbiamo fatto un fantastico percorso insieme, lui da emergente e io da outsider un po’ stagionata della musica toscana. Ci siamo molto divertiti, e fra noi è rimasto un grande affetto.
Com’è cambiata Firenze in questi quarant’anni?
Firenze è cambiata come è cambiata la vita negli ultimi quarant’anni ovunque: mi è capitato di recente di tornare a Londra, dopo anni che non ci andavo, e ho trovato un’altra città rispetto a quella dei miei venti o trent’anni. Soprattutto mi ha colpito l’omologazione dei negozi, gli stessi che si trovano dappertutto, mentre le tradizionali tea-rooms inglesi sono scomparse.
La Firenze dei fiorentini, la Firenze della mia infanzia, non esiste più, non esistono più i negozi tipici, il centro è terra di turisti.
A livello culturale e musicale ci sono tante nuove iniziative, ma certo, comprensibilmente, il fervore che ho vissuto io negli anni Settanta non si ritrova più, e men che meno l’accessibilità alla scena, alla visibilità che c’era allora. D’altra parte è cambiata anche la modalità di proporsi, perché oggi chiunque può autoprodursi un disco o un video, e magari proporlo su qualche scena musicale o in qualche circoletto culturale. Difficile davvero descrivere un cambiamento così epocale: oggi abbiamo l’impero dei media, abbiamo realtà neanche immaginabili fino a 15 anni fa.
Susy, credi che una donna incontri maggiori problemi nello svolgere la sua attività artistica rispetto a un uomo? In questo senso quanto è cambiato in questi decenni?
La discriminante fondamentale nel percorso artistico di una donna è sempre stato l’aspetto fisico, in quanto la bellezza e la giovinezza forniscono sempre un accesso facilitato, a maggior ragione se si parla di un’attività in cui ci si espone di persona, come sulla scena, sia musicale che di spettacolo in genere. Quando ero giovane io, probabilmente questo contava anche di più, in quanto chi pagava un contributo ‘fisico’ ai potenti del settore aveva di sicuro maggiori chances. Oggi, a lume di naso, mi viene da pensare che questo sia meno importante di allora. Di fatto però questa importanza dell’aspetto fisico, di un certo stereotipo femminile, è un’arma a doppio taglio, perché finisce con il relegare la presenza femminile in un ruolo irrilevante, del tutto determinato dall’immaginario maschile. In questo senso ho anche scritto un brano presente nell’album “Di lago”, dal titolo “Velina”, in cui sbeffeggio questo aspetto esteriore e consumistico dell’immagine femminile.
Non parliamo poi di quando una donna invecchia! Mi viene in mente la fantasia felliniana di confinare le donne anziane nei piani alti della casa, lontane dalla vista maschile. Via, non voglio dilungarmi su questo tema, mi limito a dire che tanto una giovane di bell’aspetto viene relazionata e corteggiata, quanto una donna in là con gli anni viene ignorata socialmente, a meno che non si tratti di una grande attrice o un’intellettuale o una scienziata. Ma a questo proposito non dimentichiamoci neppure quanto sia stata dileggiata la grande Rita Levi Montalcini negli ultimi anni della sua vita. Figuriamoci poi se si parla di ambiente di spettacolo! Tutt’al più ‘la vecchia’ viene usata per qualche orribile programma tipo talent, per farle dare un penoso spettacolo fra le risate del pubblico.
Come nasce in te la passione per la musica popolare? Ci parli di Cartacanta e del bellissimo CD “Il tempo delle ciliegie”? Qual era il vostro approccio nei confronti della musica popolare?
Io sono nata nel cuore del centro fiorentino, da una famiglia toscana doc, e ho sempre ascoltato i canti toscani, anche dalla viva voce della mia mamma e dei miei zii. Da più grande ho conosciuto tante altre canzoni della tradizione, prima attraverso Riccardo Marasco, che era un amico di famiglia, e poi dai dischi di Caterina Bueno, Daisy Lumini e Alfredo Bianchini. Così quando fui contattata dal gruppo Cartacanta, che stava per registrare l’album “Il tempo delle ciliegie”, accettai con gioia la proposta di entrare a farne parte come voce femminile.
Cartacanta era composto da Gianfranco Giordo, voce maschile, Dunia Balloni, violino, Marco Lamioni, chitarra, Massimo Pablo Petri, flauti dolci e Nico Vernuccio, contrabbasso. Era un fantastico gruppo di musicisti che alla base aveva i canti popolari forniti da Alessandro Fornari, studioso di tradizioni popolari, e gli arrangiamenti erano a cura dei componenti stessi con la collaborazione di Alessandro Giandonato.
All’epoca c’era un gran fiorire di gruppi nel campo della musica popolare, e tutti seguivamo un po’ il modello della Nuova Compagnia di Canto Popolare, ovvero quello di reinterpretare la tradizione in modo moderno, ma anche abbastanza ortodosso, con strumentazioni accurate e concertazioni vocali.
“Il tempo delle Ciliegie” fece parte della gloriosa collana “I dischi dello zodiaco”. Ancora oggi mi viene richiesta la ristampa da fans appassionati, ma purtroppo i diritti del master non sono nostri. Devo dire immodestamente che è proprio un bel disco, contenente tanti brani poco noti, eseguiti con passione e originalità.
Dopo l’uscita dell’album ne portammo in giro il repertorio in tanti concerti un po’ in tutta Italia. Fu un bel periodo, in un’Italia post-contadina, in cui erano ancora vive tante feste paesane, che per lo più facevano capo alle Case del Popolo e alle Feste dell’Unità.
Qual è la situazione della musica popolare ora?
Oggi non è rimasto quasi niente di tutto questo, e soprattutto la musica tradizionale è poco richiesta. Peccato, perché esistono tante realtà musicali vive e pregevoli. Di recente, io e Giulio abbiamo partecipato all’inaugurazione del Firenze Folk Studio, fondato da Lisetta Luchini e Enzo Carro in collaborazione con Toscana Folk. E’ stata una bellissima serata, ricca di partecipanti che venivano da tante aree toscane, dall’Amiata a Pisa, da Pistoia a Firenze. E’ stato bello conoscerli, e auguro di cuore al Firenze Folk Studio un grande successo, e che possa diventare il punto focale di aggregazione dei musicisti folk toscani per una meritata rinascita della nostra bella tradizione musicale.
Ci parli del CD “Donne di Toscana”?
“Donne di Toscana” nasce senz’altro dalla mia voglia di riprendere il discorso interrotto sul canto toscano, ma anche dalla scoperta di tanti testi della tradizione che caratterizzano realtà femminili varie, colorite e sorprendenti. Il sottotitolo del CD, “Invettive, sospiri e lamenti dalla tradizione popolare” già fa intuire che si parla delle donne toscane nella loro variegata realtà sentimentale e familiare.
In contesti antichi e rurali, non sospetti di moderno femminismo, si riscontrano rabbiosi malcontenti nei confronti di mariti vanesi ed egocentrici, se non addirittura maneschi e assassini. Come dire che cambiano i tempi e i costumi, ma gli uomini con le donne no. Mi riferisco, ovviamente, al proliferare del femminicidio, che a quanto pare risulta essere un costume antico ma ancora diffuso.
Non mancano però le donne emancipate, quelle che con gli uomini “si divertono”, o quelle che tradiscono il marito, anche a favore dell’economia familiare. Insomma un bel campionario di testi riferibili a donne, supportati da melodie particolari e pregevoli, una vera delizia per chi le canta.
Come nasce la tua passione per la musica per l’infanzia, Susy?
Tutto quello che nelle arti in genere riguarda l’infanzia mi affascina e mi incuriosisce, dal che subito si intuisce che il primo pubblico infantile sono io stessa. Infatti, tutto quello che ho fatto in questo campo, come del resto in tutti gli altri, è stato per me un puro divertimento, una passione personale. Amo le fiabe e amo le illustrazioni delle favole, ma anche la musica dedicata all’infanzia, da Prokofieff al Quartetto Cetra, da Ravel alle colonne sonore dei film di Walt Disney.
Anche nella musica per l’infanzia ho attinto molto dalla tradizione popolare, toscana e non.
Gallo Cristallo, che ho musicato, è una fiaba popolare presente in molte tradizioni italiane. In questo caso ho utilizzato la versione marchigiana, quella riportata da Italo Calvino nella sua raccolta di fiabe italiane, ma nei miei CD ci sono anche “Il Grillo e la formica”, “Petruzzo e il cavoluzzo”, “La donnina piccina picciò”, veri classici della tradizione toscana.
Devo dire che proprio in questo campo, quello della musica per l’infanzia, ho avuto le mie più grandi soddisfazioni. Ormai tutte le scuole fiorentine e gran parte delle toscane usano i miei CD, sia a scopo ludico che didattico, e ho avuto innumerevoli dimostrazioni di affetto e gratitudine da insegnanti e genitori. Diciamo pure che questa è la cosa più gratificante della mia vita artistica.
Come ti sembra sia cambiato il mondo della discografia e che cosa ti auguri per il futuro della musica?
A dire il vero mi pare che il mondo della discografia sia ormai quasi estinto, nel senso che i dischi oggi li fanno proprio tutti, anche in casa, ma alla fine se ne vendono pochi, perché ci sono supporti molto competitivi che oggi si impongono sul CD. La musica si scarica da Internet e si ascolta in mp3, oppure su youtube, e anche gli artisti più popolari devono per forza esibirsi in concerto per avere dei guadagni lucrosi.
Alla musica mi preme soprattutto augurare che diventi anche in Italia una materia formativa, e in quanto tale ampiamente diffusa nelle scuole, rivalutata nel suo significato didattico e culturale. Inoltre mi auguro che i musicisti non debbano essere più considerati come persone che si divertono e pertanto non meritevoli di compensi adeguati. La musica è importante, è il vero esperanto, la lingua che tutti i popoli condividono, il veicolo dei grandi contenuti dell’umanità e di ciò che non può essere espresso solo a parole.
Addio cara Susy, e grazie di tutto.
(L’intervista è tratta da “Firenze Suona, la scena artistica raccontata dai protagonisti”, Zona, 2015).