Chet Baker né angelo né diavolo: entrambe le cose
1929-1988 Tromba e Voce
Chet Baker colui che dominò la scena del jazz negli anni cinquanta, il genio maledetto della West Coast, colui che dipinse la sua musica di magia nera e gli donò ali bianche per volare.
Un volto angelico presto segnato dalle catene del suo dualismo delirante, capace di autodistruggere il suo corpo con l’eroina e l’alcol e spingersi oltre i limiti della vita, dell’amore e dell’esistenza.
Dopo aver suonato al suo fianco, the king of bebop Charlie Parker disse al prediletto Miles Davis: ”esiste un gattino bianco, sulla West Coast, che sta venendo a divorarti”.
Un gattino spregiudicato capace di graffiare l’anima con infinita dolcezza portando la sua tromba al limite delle note e del successo senza mai proteggerlo più di tanto.
Sarà lui stesso, parlando in italiano in un’intervista su Rai Storia (ascolta l’intervista di Chet Baker) a spiegare di essere caduto sempre più in basso assumendo eroina, entrando ed uscendo dal carcere per poi riuscire a sconfiggerla dopo sette lunghi anni di metadone e disintossicando la mente dai ricordi di un padre sempre fatto e nel delirio.
- Quella che negli anni ’50 era la tromba bianca più grande del Jazz, la voce e la tromba che rapisce i tuoi sensi portandoti nei ‘paradisi artificiali’ dell’ignoto; che stupisce proprio perché tutto ciò che da lui è nato è frutto esclusivo del suo orecchio e della mancanza di regole e schemi, si offuscherà da sola lasciando la scena musicale per molti anni.
Chet parla umilmente di un carico di stress e pressione che si portava addosso facendo e vivendo la musica come trombettista più importante al mondo, il 40 % del pubblico che lo ascoltava in concerto era composto da musicisti e viveva una condizione di pressione tale da volersi perdere per trovare la libertà di creare.
Senza denti e costretto a lavorare in una stazione di servizio dalle sette del mattino fino alle undici di sera, sei giorni su sette si interrogò sulla sua esistenza e capì di essere nato per la musica e solo per quella.
Decise di ricominciare da capo e dopo una dentatura nuova ci vollero tre anni di estenuanti prove per tornare a suonare nuovamente, trovando una nuova posizione in bocca per il suo strumento, facendo gli esercizi di base come facevano tutti gli altri trombettisti, note lunghe e dinamica.
Tre anni di frustrazione e determinazione, tre anni sul filo del rasoio, condizione che lui conosceva molto bene.
Tre anni che lo riportarono all’infanzia, a quando suo padre (chitarrista) per la prima volta a tredici anni gli portò in casa un trombone senza riuscire fisicamente a coprirne le note basse, per poi sostituirglielo con una tromba che mai domò ma lasciò libera di correre.
Innamorato dell’Italia e del pubblico italiano anche dopo che gli ebbero rubato la sua tromba d’oro Martin Committee nel concerto di Napoli, oppure dopo la prigione nel carcere di Lucca, non ha mai abbandonato la musica fino alla sua tragica e misteriosa morte, il 13 maggio del 1988 con il volo da una finestra del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam a 59 anni.
Un uomo di rara eleganza, una delle voci più struggenti e anche sottovalutate della storia del jazz, la quale esistenza, poetica e composizione discografica, ha superato di gran lunga la verità o la bugia .
Poco importa se avesse lavorato anche solo un giorno in una pompa di benzina e anche se dalla droga non fosse mai voluto uscire, nonostante lanciasse il messaggio ”molto jazz meno droghe” e avesse raccontato un’infinità di fesserie croniche così come alcuni hanno puntualizzato, basta mettere su un vinile targato Chet Baker, chiudere gli occhi e ascoltare la verità della sua musica.
Chet Baker né angelo né diavolo: entrambe le cose.