Ebbene sì, ci siamo.
Questo momento, puntuale come uno svizzero (orologio, cantone o cioccolatino non importa) doveva arrivare. Ed è arrivato pure per l’inverno 2019, proprio ieri: la mia prima febbre dell’anno. Che poi spesso è anche l’ultima, ma questo non la rende comunque meno invalidante.
Ero un po’stanca e spossata già da metà mattina, mi facevano male le ossa stile “mi è passato addosso un camion un paio di volte”, e ho avuto la malsana idea di interrogare il termometro. Segnava 38,9. Roba che, se fossi stata un uomo, per chiamare un prete sarebbe stato troppo tardi. Ma, da donna, non ritenendolo un responso di morte certa, pensavo solo alla smisurata noia, all’immensa menata, al badiale disagio che mi avrebbe accompagnata per almeno un giorno.
Così, per trascorrere un po’meno faticosamente le ore, non solo nell’attesa del momento in cui avrei assunto la medicina successiva, ho cercato di tenermi impegnata.
Ho fatto qualche telefonata. Ho scritto un paio di e-mail. Mi sono portata avanti col lavoro. Ho preparato il brodo di pollo. Ho buttato via tutti gli scontrini che mi ostino a conservare nel portafogli. Ho ricucito il bottone a che mi era saltato dalla giacca. Ho spolverato il lampadario. Ho mangiato i confetti di una bomboniera di battesimo del figlio di un collega. Ho perfino provato a contare le foglie dell’albero che campeggia davanti alla finestra della mia camera.
Alla fine, stremata, ho acceso la televisione. Su un canale minore, forse Paramount Channel, per caso ho beccato un film che non rivedevo da anni: “L’aereo più pazzo del mondo”.
E lì mi si è svoltata la giornata.
Per i pochissimi di voi che non lo conoscessero, ricordo brevemente la trama.
Ted Striker (Robert Hays), logorroico ex pilota di guerra segnato da esperienze traumatiche, viene lasciato dalla fidanzata, la hostess Elaine (Julie Hagerty). Per riprendersela, il giovane decide di vincere le proprie paure legate agli aerei e imbarcarsi sul volo da Los Angeles a Chicago, dove lei è diretta. Quando, però, un’intossicazione alimentare dovuta al piatto di pesce servito a bordo mette fuori gioco il capitano Oveur (Peter Graves), i due co-piloti e metà degli occupanti, il disastro pare inevitabile. L’unica speranza sarà proprio Striker, costretto a fronteggiare la situazione e vincere i fantasmi del passato.
Realizzato nel 1980 dal trio Zucker-Abrahams-Zucker, prendendo spunto dalla trama di “Ora Zero” di Hall Bartlett del 1957 (dove un pilota di elicotteri, reduce dalla guerra di Corea, deve supplire ai colleghi colpiti proprio da un’intossicazione alimentare), dà vita ad una rivisitazione in chiave farsesca del cinema hollywoodiano mainstream.
Intrattenimento puro, con humor intelligente; buone idee anche per il doppiaggio italiano, sebbene alcuni astrusi giochi di parole perdano molto con la traduzione. Attraverso riferimenti ironici, citazioni cinefile e battute esilaranti, il film colpisce nel segno: è di una demenzialità brillante, e si ride parecchio. Tanto che nel 2000, l’American Film Institute lo colloca al decimo posto nella classifica delle migliori commedie americane di sempre. Peraltro, risulta anche un notevole successo commerciale, con oltre 100 milioni di dollari incassati, a fronte dei 3,5 spesi per realizzarlo.
I passeggeri del volo sono veramente ben assortiti: tra i più spassosi, il secondo pilota (interpretato dal noto campione di basket Kareem Abdul Jabar), una ragazzina in barella che a Chicago dovrà essere sottoposta ad un trapianto cardiaco e che per questo non dovrebbe subire emozioni, due uomini con la pelle nera che parlano un napoletano strettissimo, una suora bizzarra, il piccolo e irriverente Joey, il pilota automatico gonfiabile.
Un plauso speciale per la performance di Leslie Nielsen (attore – feticcio dei registi) nei panni del dottor Rumack, medico fuori di testa, divertente e arguto, anche se il tenente Frank Drebin e le sue “pallottole spuntate” sono imbattibili. Memorabile, poi, il personaggio di Lloyd Bridges, lo Steve McCroskey che aiuterà Ted nella manovra di atterraggio, e tutte le sue ansie: ci ricorda simpaticamente che è sempre il giorno sbagliato per smettere di fumare, o di bere, o di assumere tranquillanti.
Una fantastica parodia di disaster – movie per sopravvivere al mio disaster – day.
Infatti, continuo a sorridere, immaginando la faccia che avrei fatto io, al posto di uno di quegli sventurati a bordo, se, dopo qualche sospetto vuoto d’aria, una hostess mi avesse chiesto se per caso fossi stata capace di pilotare un aeroplano.