Ogni cosa ha un punto debole dove può rompersi
Qualche giorno fa è venuta a trovarmi una mia vecchia compagna di università. Pur essendoci sempre tenute in contatto, non ci vedevamo da un po’, più o meno da quando lei si è laureata ed è tornata nella sua città, che non è proprio dietro l’angolo. Abbiamo fatto una passeggiata tra quei monumenti che ci piacevano tanto all’epoca, abbiamo riso dei vecchi tempi, siamo andate a cena insieme, in quel posto che è rimasto praticamente uguale. A volte, con certe compagnie, gli anni non sembrano passare veramente.
Tra l’antipasto e l’arrivo della pizza, abbiamo iniziato a ripercorrere tutte le tappe della nostra amicizia: quando ci siamo conosciute per caso nell’aula studio, proprio quella sopra il bar; quando abbiamo scoperto di frequentare gli stessi corsi quel semestre; quando ci siamo ritrovate a preparare insieme l’esame di “Sistemi giuridici comparati”, con quel professore così severo.
In quel periodo, eravamo letteralmente ipnotizzate dal funzionamento dell’impianto americano, così affascinante, con quelle arringhe favolose e la giuria. E, nelle pause dallo studio, ci ritrovavamo per ri-guardare e ri-commentare alcune pellicole, che ne mostravano soprattutto le falle, aspetto che ci aveva sempre colpite parecchio. Così, in ossequio a questo nostro “tuffo nel passato”, oggi (e magari anche nelle prossime settimane, chissà), vi tedierò con il filone “legal-thriller”, uno dei miei favoriti in assoluto.
In particolare, inizierei dal celeberrimo “Il caso Thomas Crawford” (2007), che non può certo mancare nella cineteca di un vero appassionato dell’infrangere l’ordine. Infatti, già dopo pochissimi minuti, il personaggio del Giudice Moran, a proposito del protagonista, mirabilmente afferma: “sfortunatamente, è un cittadino che paga le tasse e la Costituzione gli dà il diritto di tentare di manipolare il sistema legale come chiunque altro”.
La trama
Thomas Crawford, magnate aeronautico, è preciso e meticoloso, esattamente come il piano che mette in atto per uccidere l’avvenente moglie Jennifer, che lo tradisce con il detective Robert Nunally. Scoperta l’infedeltà dopo averli seguiti nell’albergo dove i due sono soliti incontrarsi, torna a casa, e quando lei fa il suo ingresso, le spara in pieno volto, mandandola in coma. Al sopraggiungere della polizia, capitanata proprio dall’amante della vittima, Crawford ammette la sua colpevolezza ancora con la pistola in mano, fornendo addirittura una confessione.
Accusato di tentato omicidio, viene condotto in carcere in attesa del processo. Un caso fin troppo semplice agli occhi del rampante assistente alla Procura Distrettuale Willy Beachum, che sta per lasciare l’attuale incarico per un prestigioso impiego presso un importante studio legale, che lo renderà ricco, come sogna fin dal liceo. Ma niente è come sembra.
Il giovane procuratore, 97% di sentenze di condanna ottenute, si troverà davanti ad una vicenda che lo metterà con le spalle al muro: dopo aver subito la prima, inaspettata e cocente, umiliazione in tribunale, la certezza di essere un vincente inizia a vacillare. Crawford ha già dato il via ad un duello mentale, in cui l’unica vera arma risulta essere la conoscenza di sé e del proprio avversario. Lo scontro tra bene e male è aperto: assoluzione o condanna?
“Fracture”
Crawford: “Mio nonno era un fattore, vendeva uova. Controllavo le uova con una candela, sa come si fa? Tieni l’uovo contro la luce di una candela e guardi se ci sono imperfezioni. La prima volta che l’ho fatto mi disse di mettere tutte le uova rotte o incrinate in un secchio per la pasticceria. Lui tornò un’ora dopo, e c’erano trecento uova nel secchio per la pasticceria. Avevo trovato una crepa in ognuna di quelle: dove il guscio era più sottile, incrinature capillari. Se guarda attentamente troverà che ogni cosa ha un punto debole dove può rompersi, presto o tardi”.
Willy: “E sta cercando il mio?”
Crawford: “Ho già trovato il suo: lei è un vincitore”.
È forse proprio una “frattura” col genere di appartenenza quella a cui fa riferimento il titolo originale, Fracture, personalizzato per il pubblico italiano nell’orribile “Il caso Thomas Crawford”. L’opera si snoda, infatti, nel solco del classico thriller processuale, con una particolarità semplice, ma di grande effetto: fin dall’inizio, il mistero non ruota intorno all’identità del colpevole, bensì sull’occultamento delle prove. E “se non si possono esibire prove in tribunale, il caso non sussiste, legalmente”.
Inoltre, Crawford, ingegnere esperto nell’individuare il “punto di frattura” dei materiali, lo ricerca ossessivamente in tutto, peculiarità che si rivelerà determinante (fin da questo dialogo) nella comprensione della pellicola: guardando attentamente, e da vicino, ogni cosa presenta un lato debole, in grado di farne crollare l’intera struttura. Il regista Gregory Hoblit e lo sceneggiatore da Daniel Pyne giocano sapientemente su questo concetto, mettendo in scena un intreccio ben congegnato, che stimola le capacità logiche dello spettatore.
La biglia scorre perfettamente all’interno del raffinato ingranaggio di Thomas, e il delitto perfetto sembra esser stato compiuto, intaccando il primato di vittorie del giovane procuratore. Ma per entrambi, sarà il confine tra realtà e apparenza ad andare in frantumi.
I protagonisti
Buona la fotografia, giusta la colonna sonora, inaspettato il montaggio. Un plauso doveroso alla già citata sceneggiatura, sagace e ricca di citazioni. Un ottimo film, magistralmente interpretato da Anthony Hopkins e Ryan Gosling.
Il cattivo ed il buono, il colpevole e l’uomo di legge, Crawford e Willy sono l’uno contro l’altro, su un ring irto di insidie. Sin dall’inizio, c’è una pericolosa attrazione fatale tra la mente dell’uno e l’indole dell’altro. Uno glaciale, privo di sensi di colpa. L’altro troppo sicuro e arrogante. Uno scontro senza esclusione di colpi: chi prima va all’angolo, poi attacca; chi prima vince, poi va al tappeto.
Il decano Hopkins dà vita ad un personaggio assolutamente credibile e sufficientemente inquietante. Dal dottor Hannibal Lecter, mutua un acuto e squilibrato calcolatore, in grado di orchestrare un piano di smantellamento dell’accusa che gli permetta di uscirne pulito, inghiottendo e umiliando il proprio antagonista. Attraverso astuzia, cinismo e intelletto, riesce a cavarsela persino senza avvocato, mettendo in crisi l’intero sistema giudiziario.
Non è certo da meno Gosling (qui prima della sua promozione a superstar, anche se già molto promettente), perfetto nei panni dell’arrivista con la faccia da schiaffi. Si atteggia a bullo, ma quando entra in crisi di coscienza, e le sue certezze si incrinano, deve scegliere tra ascesa professionale ed etica, seppur in un arco narrativo discutibile. Non mi ha molto convinta, invero, la scelta di rimettere d’un tratto tutto in discussione ad un passo dal grande traguardo.
Ma sapete cosa mi ripete sempre quella mia compagna, e che nessuno capisce di certi tipi di lavori malpagati del servizio pubblico? Che, di tanto in tanto, si può ficcare un paletto nel cuore di un cattivo. E niente lo batte, quando si riesce a farlo.