La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare
Salve a tutti, “Popcornisti”. Una simpatica lettrice del blog si è firmata così alla fine della lettera che mi ha inviato, e questa “etichetta” mi ha fatto molto sorridere. Ma quello che mi ha conquistata è stato di certo il modo sincero e senza filtri con cui mi ha raccontato del periodo non facile che sta attraversando.
Cara amica, sono felice che WiP Radio ti tenga compagnia, e che i miei articoli ti rallegrino, ogni tanto. Perciò, oggi questo pezzo lo dedico a te e al tuo film preferito.
Premetto che non è semplice liberarsi dell’odio verso i musical. E il miracolo, per quanto mi riguarda, non è ancora avvenuto. Sì, io li odio. Tutta quella gente che nel vivo della narrazione inizia a dimenarsi a suon di canzoncine ebeti è una cosa che mi ha sempre irritato tantissimo. Tuttavia, il tuo musical prediletto, fortunatamente, è un fenomeno di culto, un tentativo riuscito di rinnovare un genere fossilizzato sulla tradizione. Sto parlando di Moulin Rouge! (il punto esclamativo è d’obbligo), presentato al Festival di Cannes nel 2001.
La trama
1899. Christian, scrittore inglese, scappa dalle idee tradizionaliste e rigide del padre e si trasferisce a Parigi alla ricerca dell’ispirazione per il primo romanzo. Nella capitale, trasformata dalla rivoluzione bohémien, per caso conosce un gruppo di artisti spiantati, guidato dal pittore Henri de Toulouse-Lautrec, realmente esistito.
La strampalata combriccola intende proporre una rappresentazione teatrale all’impresario Harold Zidler, mecenate del tempio dell’eccesso e della lussuria: il Moulin Rouge. Un’opera rivoluzionaria, che incarni i principi fondamentali della filosofia del tempo: libertà, bellezza, verità e amore, e trova proprio in Christian un perfetto sceneggiatore per lo “Spettacolo spettacolare”.
Giunto al Moulin Rouge, il giovane rimane sconvolto dalla bellezza di Satine, la cortigiana più desiderata del locale, pronta a vendere i propri favori al miglior offerente. Tra il pubblico, la stessa sera, c’è anche il Duca di Monroth, a cui Zidler promette una notte d’amore con Satine nella speranza che il nobile, in cambio, decida di finanziare il suo show.
Complice un equivoco iniziale, Satine e Christian si innamorano: quando lei si accorge che lui non è il Duca che avrebbe dovuto irretire, ma solo lo squattrinato paroliere dello spettacolo in questione, è troppo tardi. Cupido ha già scoccato la sua freccia, che li ha trapassati entrambi.
Sarà il tarlo della gelosia a rovinare tutto: ambedue gli uomini vogliono Satine in esclusiva, ignari del fatto che la ragazza si stia spegnendo a causa della tubercolosi. Satine seguirà il suo cuore, rimanendo con Christian, o i suoi interessi (e gli interessi del Moulin Rouge) consegnandosi al Duca, quello vero?
Il commento
Tutto sembra improvvisato, invece è calcolatissimo. Il genere Musical ritorna prepotentemente, stravagante e al limite del kitsch. Dopo “Romeo+Giulietta”, Baz Luhrmann sforna un nuovo dramma, che conquista due statuette agli Academy Awards, “Migliore scenografia” e “Migliori costumi” (delle otto nomination).
Il regista (ma anche co-sceneggiatore e co-produttore) prende spunto in parte dal romanzo “La Dame aux camélias” di Alexandre Dumas (figlio), e in parte da La Bohème di Puccini e La Traviata di Verdi, allestendo le quali ha iniziato la sua carriera. Mescolando poesia e cinema, arte e musica, romanticismo e tragedia shakespeariana, ne esce un film trascinante, esilarante, commovente.
Fin dalla prima scena, è evidente che ci troviamo davanti a qualcosa di visivamente innovativo, anche se non necessariamente originale (diciamo che l’originalità è tutta nell’assemblaggio). Attraverso gli eccessi, l’esplosione delle immagini, i giochi di luce psichedelici e gli scenari stile vecchia Hollywood, la macchina da presa si muove come tarantolata tra finzione e realtà. Sullo sfondo, si balla il can-can e si beve l’assenzio verdissimo, che intossica e consola gli sconfitti.
Il panorama è ricreato digitalmente: montaggio in Australia, negli studi Fox a Sydney, in cui è stato ricostruito il vero Moulin Rouge con grande precisione e accuratezza. Il risultato è il teatro delle nostre fantasie più equivoche. Il film è anche detentore di un record: la collana di diamanti che il Duca regala a Satine è la più costosa mai realizzata appositamente per un film (ben 1308 diamanti da 134 carati).
Nicole Kidman è favolosa nella sua algida bellezza, a metà tra la spregiudicata cortigiana e la coraggiosa donna innamorata, dimostrando di sapersi adattare a qualsiasi parte le venga offerta. La pelle è diafana e inconsistente, così da far accendere i capelli e gli occhi, che brillano ora di desiderio, ora di pianto. Ewan McGregor veste con leggerezza appropriata i panni dell’appassionato giovane in cerca di felicità. Bello, idealista, abile anche nella catastrofe, ci commuove nel finale ricordando nei suoi rimpianti le parole dell’aria “Vissi d’arte, vissi d’amore” della Tosca di Puccini.
“Musical”
La grandezza dell’opera vive nelle sue emozionanti canzoni, tutte moderne, decisamente in contrasto con l’ambientazione. Una scelta audace, incentrata soprattutto sul valore delle parole: testi significativi e melodie riconoscibili, per un’atmosfera senza tempo. Da “All you need is love” dei Beatles, a “Pride” degli U2, passando per “The show must go on” dei Queen. L’inizio è sapientemente affidato a David Bowie e alla malinconica “Nature Boy” (da cui viene ripresa la frase simbolo del film:“The greatest thing you’ll ever learn is just to love and be loved in return”) in una timida descrizione della figura del sognatore dagli occhi tristi, preannunciando quasi l’esito tragico della storia.
Satin diventa una “Material girl”, quando intona “Diamonds are girl’s best friend”, da autentica cortigiana affamata di diamanti. Christian, invece, ci fa letteralmente sciogliere quando le dedica “Your song” di Elton John, dichiarandole tutto il suo amore, con una potenza vocale che non ti aspetti. Peraltro, con mia grande sorpresa, entrambi i protagonisti rendono esibizioni canore d’eccellenza. La ballata più importante è senz’altro “Come What May”, che, tra i dolci violini e le soffici voci dei due innamorati, incarna tutti i valori di romanticismo bohémien: “come what may, I will love you until my dying day”, ripetuto come calorosa speranza più volte, nei momenti decisivi del film.
A seguire, nella scena più coinvolgente dell’intera pellicola, si alternano passione, carnalità, rabbia, dispiacere ne “Il tango di Roxanne”, singolo conosciutissimo dei Police, e arricchito in questa versione dalle soluzioni latineggianti del chitarrista José Feliciano. Struggenti come lo strazio del sospetto di un tradimento, “His eyes upon your face, his hand upon your hand, his lips caress your skin”, le note incalzano, calcando la potenza del folle demone della gelosia. Come qualcuno ha sapientemente detto, Roxanne e Satine sono accomunate dallo stesso destino di sofferenza: l’una, prostituta dei sobborghi argentini e regina del vizio, imperitura schiava d’amore; l’altra, cortigiana del Moulin Rouge e regina del palco, riscattata dal vizio proprio grazie all’amore.
Per te, cara amica
Cosa posso dirti di più, mia cara amica? Questo film riesce ad inserire un legame vero e travolgente, capace di sfidare anche la morte, all’interno di un mondo profano e superficiale.
Non esistono confini o gabbie che possano delimitare o contenere un sentimento: che il contorno sia romantico o peccaminoso, l’amore sublima ogni cosa andando sempre un pochino oltre l’immaginato.
Una passione così forte che alla fine si palesa, anche se questo significa perdere tutto il resto. Due personaggi che non si dovrebbero amalgamare scelgono invece di appartenersi, e realizzano quell’idea di unione degli opposti, cardine dell’ideologia bohémien.
“La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare” può risultare stucchevole. Eppure, dopo Moulin Rouge! viene il dubbio che il più banale degli aforismi sia proprio quello giusto.