VERSO SUD.
Ogni tanto fa bene andare verso Sud, ci fa capire la dimensione Italia, la complessità di questo nostro paese in un’epoca di populismi banali, che galleggiano sulla superficie delle cose. Populismi che spesso facevano leva, fino a pochi anni fa, sullo stereotipo del “terun” e che oggi lo correggono , in tempi di crisi, con “prima gli italiani” . Un Sud che non è uguale a se stesso, che si trasforma, dove trovi realizzazioni e potenzialità inaspettate e anche conferme, perché no. Del Sud purtroppo si parla poco e male.
Una città che cambia
Prendiamo il caso di Matera, capitale europea della cultura 2019; una città che ha conosciuto diverse trasformazioni di immagine nel corso dei secoli. Nel Cinquecento avanzata città commerciale di cui si notano ancora le tracce nei palazzi, poi decaduta a borgo rurale con i suoi Sassi (quartieri con abitazioni scavate nella roccia) che sono sopravvissute come “abitazioni” contadine fino agli anni Sessanta del Novecento. Miseria nera e sporcizia, la “vergogna d’Italia” vennero definiti i Sassi, abitazioni senza finestre, con l’acqua piovana di cisterna, in cui il maiale e l’asino stavano accanto al letto, una sorta di “Africa in casa” (proprio mentre Mussolini portava la sua tronfia guerra di sterminio “civilizzatrice” in Etiopia) . Una realtà svelata da Carlo Levi in “Cristo si è fermato a Eboli”, che fece il giro del mondo e svelò la miseria italiana.
L’Italia repubblicana spostò gli abitanti dei Sassi in anonimi quartieri moderni, ma con tutte le comodità , e i Sassi furono abbandonati ai crolli e alle erbacce. Solo in pochi ne percepirono la particolarità e la bellezza nascosta sotto strati di sudiciume e di miseria. Uno di questi fu Pasolini che vi girò il “Vangelo secondo Matteo” che la vide più bella d’Oriente.
Oggi i Sassi sono rinati a nuova vita e possiamo guardare all’epoca passata come a una sorta di archeologia antropologica. Una città sopra una stupenda gravina (un grande canyon) che mostra la sua architettura povera e ricca, chiese rupestri e abitazioni contadine, palazzi mercantili e piazzette e scalinate in un incredibile labirinto che attira ogni anno turisti da tutto il mondo e che elabora cultura e esalta le tipicità del territorio. Dove c’era solo degrado oggi c’è una nuova vita.
Può essere questo lo sviluppo del Sud Italia? Certamente può essere uno dei motori come lo può essere un’agricoltura avanzata che coniughi le particolarità anche paesaggistiche dei luoghi (le grandi olivete con i mandorli e i fichi, i muretti a secco che percorrono per chilometri la campagna) e la dimensione 2.0 . Non può tuttavia mancare uno sviluppo industriale. Ma quale industria?
Certamente non la grande industria energivora, inquinante e distruttiva del territorio come è avvenuto negli anni Sessanta quando, per un malinteso senso dello sviluppo , si costruirono quelle che vennero chiamate “cattedrali nel deserto” , siderurgiche o chimiche che fossero, fabbriche che divoravano chilometri di territorio , industrie che sorgevano nel nulla, senza un’industrializzazione e talvolta con infrastrutture insufficienti.
Industria senza industrializzazione
Infatti basta spostarsi a 50 chilometri da Matera lungo la costa ionica per incontrare un caso eclatante di industria invasiva creata negli anni del boom. E’ l’ex Ilva di Taranto che ci appare con i suoi colori nero e ruggine da lontano. Quando venne costruita apparve come un’opportunità, un progresso, un lavoro sicuro alternativo all’emigrazione e ai lavori precari e duri nelle campagne, facile quindi giudicare col metro di oggi. Infatti mentre a Matera si viveva ancora nei Sassi con l’asino in casa, si progettava a poche decine di chilometri un moderno centro siderurgico. E allora l diavolo gli oliveti, i boschi costieri, gli olivi millenari che risalivano “ai tempi della Magna Grecia”, tutto spazzato via con le ruspe: anche noi meridionali vogliamo la nostra parte di benessere senza dovere emigrare nel Nord (si veda il video della “fondazione” con i testi di Dino Buzzati con parole oggi per noi impensabili, https://www.fctp.it/movie_item.php?id=3082 ) .
Quello che era un’opportunità col passare dei decenni ha ingessato la città, l’ha assediata e condizionata e soprattutto ha inquinato un territorio con effetti tremendi sulla salute dei suoi abitanti. E il benessere nell’immediato è stato individuale- familiare e non collettivo: basta fare un giro nella bellissima città vecchia di Taranto che avrebbe enormi potenzialità e ha interi palazzi barocchi abbandonati le finestre aperte come occhiaie vuote, i portoni murati, le erbe sui terrazzi. E si vedono tuttavia segni di rinascita che provengono dal basso, dai singoli, con attività commerciali e artigianali o un centro sociale, nati soprattutto dopo che l’Università di Bari ha deciso di decentrarvi un pezzo di università. Eppure Taranto ha un bellissimo mare e un museo, quello della Magna Grecia, che è uno dei musei archeologici più belli d’Italia, cn reperti da mozzare il fiato, che appartengono al gande mondo Mediterraneo e tuttavia sempre in carenza di personale.
Taranto è l’esempio della miopia della politica italiana verso il Sud Italia, vecchi e nuovi rappresentanti (come hanno dimostrato i 5 Stelle passati da un exploit quasi del 50% quando imprudentemente avevano promesso la chiusura della fabbrica fino alle dimissionai di tutti i loro rappresentanti in consiglio comunale) con un Di Maio che quando è arrivato recentemente in città è stato definito come un “inganna popolo” qualunque. Si è nuovamente tentato il percorso siderurgico, con basi nuove e protagonisti nuovi, ma una politica che non guardasse oltre il proprio naso con una visione direi quasi mensile dovrebbe guardare al Sud Italia fra venti anni. Quale sviluppo? Quali percorsi? Come si inserisce il Meridione nella dimensione europea e mediterranea? Quali sfide deve affrontare? Tutto questo la politica italiana non riesce a farlo, tutta presa fra le beghe di una politica dal respiro corto.
Cristo non si è fermato più ad Eboli come aveva scritto Carlo Levi , ma l’elaborazione politica italiana purtroppo si è fermata nei palazzi ministeriali romani .