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Endometriosi: la mia storia

Endometriosi: la mia storia

Ho l’endometriosi. Mettere nero su bianco questa frase fa male e solo recentemente sto riuscendo a dirla a voce alta ed a scriverla su questo blog post ancora da iniziare. Non è facile accettare questa verità, soprattutto quando si è ancora giovani, con una vita ancora lunga da programmare e da vivere. Ma è parte di me. Non esiste cura definitiva al momento ed il minimo che posso fare è portare le mie cicatrici emotive a testa alta e parlarne: sì, perché non tutti la conoscono ed è questo che rende la malattia difficilmente individuabile, anche da dottori di tutto punto. La gente sgrana gli occhi in modo inverosimile e l’empatia vola via lontana.

Tutto è iniziato nel 2015. Ho sempre avuto dolori mestruali, ma quel giorno di Novembre, una fitta al ventre mi ha portato a svenire. Con il passare del tempo i dolori forti erano diventati di routine. Ogni mia lamentela non veniva capita fino in fondo. “Hai la soglia del dolore bassa” mi sono sentita dire e ridire. “E’ solo ciclo”. Ed io ho iniziato a crederci davvero.

Ho iniziato a credere che tutto quello che stavo passando era pura normalità, che effettivamente il mio livello di sopportazione era così basso da non riuscire a superare tre maledetti giorni. D’altronde tutte le donne del mondo resistono, chi ero io per affermare il contrario?

Arriva il 2017, dolori fortissimi mi portano di corsa all’ospedale. Mi danno poca importanza. Nel giro di qualche ora mi liquidano con un pugno di mosche in mano. Ero consapevole del fatto che qualcosa non stava andando bene, me lo sentivo dentro. Però le ecografie, le visite interne, non avevano messo in evidenza niente di allarmante. Nel referto sotto alla parola diagnosi, un insieme di termini medici disposti in modo caotico, a voler significare “aria in pancia”. Com’è possibile finire in pronto soccorso per della semplice aria? Se lo racconti, la gente ti ride in faccia e la tua credibilità inizia a vacillare. Okay il ciclo, ma non riuscire a superare un evento tanto stupido cosa ti rende? Altro che soglia del dolore, qui ci vuole un intervento psicologico.

Qualche mese dopo, rifilano la responsabilità dei miei disagi sulla mia appendice. Sapevo che il dolore veniva dal basso ventre, che la risposta era errata. Ma per più di un anno mi sono fatta andare bene questa diagnosi, convinta di aver dato una classificazione più che degna al mio disturbo.

Finalmente, il 2019. Episodio praticamente identico. Dolori fortissimi. Inizio a gridare al mio fidanzato di avere l’appendicite, di chiamare il 118 perché i dolori sono così lancinanti da non farmi respirare e da procurarmi una nausea immensa. Arrivano i soccorritori, mi portano via. Mi sballottano tra un ospedale ed un altro. Anche qui mi sono sentita presa in giro. “Cosa hai mangiato signorina? L’appendice sta bene, devi solo andare in bagno”

Cosa? Seriamente? Sono qui solo perché devo fare una capatina in bagno? Non riuscivo a capire perché quei dolori così forti fossero declassati a cose estremamente banali. Il dolore era reale, esisteva. Ma nessuno sembrava credermi, nessuno sembrava volersi accertare delle mie condizioni fisiche. Quella mattina, verso le 7, un bravo ecografo decise di farmi un esame approfondito. Trova una piccola ciste, che aveva versato. Una mini emorragia, dunque.

“Allora qualcosa è successo”, ripetevo nella mia testa. Non era tutto frutto della mia immaginazione. Nonostante l’ultima scoperta, la cosa non sembrava smuoversi. Il malessere che mi portavo dietro era forte, ma era mio compito continuare a stringere i denti. Decido di andare da una nuova ginecologa, dato che la mia in tutti questi anni di dolori ed eventi avversi, aveva sempre sostenuto che ero in piena salute.

Ed ecco la svolta: “Signorina, lei ha mai sentito parlare di endometriosi?”

“Sì, qualcosa”

Ne avevo sentito parlare sì, ma non mi ero mai documentata a sufficienza.

“L’endometriosi è una patologia infiammatoria legata a cellule dell’endometrio, il tessuto di rivestimento interno dell’utero, che vanno a depositarsi al di fuori dello stesso, ossia nel posto sbagliato. Lì formano noduli e cisti, intaccando gli organi vicini e provocando così dolore e infertilità. Anche fuori dall’utero questo tessuto continua a comportarsi come nell’utero, e si inspessisce, prolifera e si sfalda durante ogni ciclo mestruale. Ma non ha modo, fuori dall’utero, di uscire dal corpo. Perciò si creano lesioni sanguinolente e accumuli” e questa è solo una delle duemila definizioni che vengono affibbiate alla malattia.

Uscita dallo studio della dottoressa, sorridevo. Mi aveva dato una sentenza, ma io sorridevo. Finalmente avevo dato un nome a questa condizione che mi stava logorando, tutto aveva acquisito un senso. Anche se mi aveva riferito dell’assenza di una cura, anche se mi aveva assegnato una terapia ormonale progestinica da cavallo per indurmi la menopausa, ero contenta. Non ero pazza, avevo davvero qualcosa.

Ciò che spesso le definizioni ed i pareri medici non dicono è che non si tratta solamente di una malattia recante dolore, cicli emorragici e quant’altro. È un’eterna lotta tra il mondo fisico e psicologico di una persona. La terapia ti riduce in frantumi, ti fa sentire meno donna. La paura costante di non poter riuscire ad avere figli, i dolori invalidanti che ti fanno camminare come una paperella fuor d’acqua. Nonostante sia alle porte del secondo stadio, l’avanzare della malattia è inevitabile e questi pensieri affollano la mia mente quasi tutti i giorni. Come sarà quando raggiungerò il quarto stadio? Sarò capace di vivere dignitosamente senza dovermi aggrappare ai soli interventi ed antidolorifici?

Le storie e le esperienze di altre donne mi hanno dato forza e coraggio, anche quando tutto sembra andare completamente all’aria. Difatti, vorrei scusarmi con voi. Vi ho mentito quando ho detto che non esiste una cura, perché una c’è: parlarne. La voce si deve diffondere, la malattia deve essere più studiata e più conosciuta. Non è e non deve essere un tabù.

Sono 3 milioni le donne che soffrono di endometriosi in Italia ed ogni donna ha una storia tutta sua, degna di essere raccontata ed ascoltata. La mia è solo all’inizio, ma sono disposta ad indossare il mio sorriso più bello per raccontarvela e per far sapere a tutte le donne là fuori che non sono sole. Che possiamo farcela, basta avere il coraggio di parlarne e lottare insieme. Ed anche quando avrò la pancia piena di cicatrici, accompagnata da giornate di tristezza e dolori, sorriderò.

Sono spaventata è vero, ma io sono più forte dell’endometriosi.

 

Sarah Rijli

Sarah Rijli

Sarah, ha raggiunto la temuta soglia dei 27 anni ed è un miscuglio di nazionalità diverse. Vive – quasi beatamente – tra i colli fiorentini e senesi, con tre gatti ed un giardino che non usa mai. Traveller per necessità e laureata in Biologia nella vita quotidiana. Sempre pronta a documentarsi scientificamente sulle ultime tendenze, con tanto entusiasmo e una punta di cinismo. Perennemente alla ricerca della felicità e dei prodotti cosmetici perfetti.

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