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Ipocondria: mille e uno modi per…

Ipocondria: mille e uno modi per…

Per… per… per… non lo so. Anzi, vorrei saperlo anche io.

Faccio coming out: sono ipocondriaco. I miei amici più cari lo sanno, altri forse lo hanno intuito.

Ho voluto renderlo pubblico perché non mi sembra una caratteristica scandalosa, un qualcosa di cui vergognarsi. Ad essere onesto però non è l’unico motivo: da ora in poi c’è la speranza, infatti, di essere invitato a convegni e congressi medici, raccontare la mia esperienza, i luminari del settore che affermano “oh, che caso interessante, ma che bravo che è Lei, dottor Bagnoli”, io che ringrazio un po’ imbarazzato un po’ compiaciuto; magari sarei anche ospite di varie trasmissioni televisive, tipo “Medicina 33” o cose del genere, poi se restassi simpatico ai dirigenti tv potrebbero ospitarmi a “La Vita in Diretta”, o dalla D’Urso, poi diventerei famoso, farei serate nelle discoteche annunciando dalla consolle “Mi raccomando ragazzi, se potete non state troppo vicino all’aria condizionata!” e chissà cos’altro.

Non mi ricordo il momento esatto in cui sono diventato ipocondriaco. Anzi, da ragazzo ero tutt’altro. Certo, la cappa d’ansia ce l’ho sempre avuta, soffrendo d’asma e di tante, forse troppe, allergie alimentari e respiratorie: non fare questo, non fare quest’altro, quello posso mangiarlo, quello no. Ma c’ho fatto l’abitudine, si cresce lo stesso senza grosse difficoltà. Se avevo vicino qualcuno malato l’importante era che non mi fosse troppo attaccato, poi non c’erano problemi. Bevevo dalle bottiglie dei miei compagni (anche se prima pulivo l’anello della bottiglia con la mano, come se servisse a qualcosa) con disinvoltura, andavo a casa dei miei amici malati a trovarli…

Nel gennaio/febbraio 1998 mio padre prese la varicella (cazzo, ho più anni di lui in quel momento ed aveva già me da quasi dodici anni, aiuto); quando era ormai guarito tornò in piedi ed io, felice di riaverlo finalmente vicino, un po’ lo abbracciavo, oh, mi mancava, per più di dieci giorni dovevo stargli lontano, era in quarantena. Mia madre mi diceva “non starci troppo vicino, aspetta ancora” (lei aveva già avuto la varicella) ma io me ne fregavo, anche lui mi consigliava di stare un pochino ancora lontano ma pazienza. Bene, il giorno dopo il Milan perse due a uno in casa della Lazio (al quinto minuto biancocelesti in vantaggio con Mancini, raddoppio di Boksic al novantaduesimo, gol della bandiera milanista di Kluivert al novantatreesimo) e il martedì mi venne la varicella.

Cosa c’entra la sconfitta del Milan? Niente, o forse è concausa della malattia. Avessi dato retta ai miei genitori forse non mi sarei ammalato. Ma ‘sticazzi, volevo fare quello, l’ho fatto, pazienza se poi son stato male. Anche se, a memoria, non mi ricordo un grosso prurito e la febbre mi venne solo la sera dopo (turno infrasettimanale, Milan-Udinese zero a zero e pagella del primo quadrimestre di Prima Media abbastanza positiva ma inferiore alle aspettative). Stetti praticamente due settimane a casa non dico in vacanza ma quasi, senza particolari sofferenze e sfoggiando due piccole bolle che resistettero per qualche settimana sulla pancia, paralleli ai capezzoli: infatti in quel periodo avevo quattro capezzoli.

Qualche anno dopo iniziai ad uscire con le ragazze per… vabbè, questo lo so per cosa. Se l’attrazione era reciproca ci si baciava anche al primo appuntamento, chissenefrega di come stava o cose del genere. Ed è andata avanti così per molti anni, fino al gennaio 2008. Cosa successe nel gennaio 2008?

Successe che il secondo governo Prodi stava per cadere a causa dell’indagine sull’allora Ministro della Giustizia Clemente Mastella e un sabato sera sono di ritorno da Firenze in treno. Vicino a me c’è una ragazza con cui è un piacere parlare, ma ha un difetto: tossisce senza mettersi la mano davanti alla bocca. Eh vabbè, penso solo che è un po’ maleducata, ma niente di che. Bene. Dopo tre giorni sono ammalato. Cazzo, stai a vedere è stata lei. Ecco, probabilmente in quel momento è partita l’ipocondria (quindi forse non è vero che non mi ricordo il momento esatto). Lei mi ha tossito in faccia, io mi sono ammalato, dunque nessuno mi deve tossire in faccia o starmi vicino se sta male: in questi casi è fondamentale evitare i contatti del tutto.

Ma come posso sapere se l’altra persona sta male? Perché ci sono malattie trasmissibili anche in assenza di sintomi. Dunque: devo stare in contatto con la gente? Ok, nessun problema, mi piace: ma prima fatemi vedere le vostre cartelle cliniche con esami accuratissimi fatti poche ore prima. Allora siamo amici, anche amanti se vogliamo. Hai il raffreddore? Non mi starnutire in faccia. Hai la tosse? Non mi tossire in faccia. Perché ho scoperto in questi anni di essere una calamita per i maleducati del genere. Mi è capitato in treno, nelle varie sale d’attesa, anche camminando: passeggio tranquillo, mi viene incontro per i fatti suoi qualcuno che, proprio nel preciso momento in cui siamo l’uno accanto all’altro, tossisce. Verso dove? Ma verso di me, naturalmente. Senza mano davanti.

Vi manderei in galera, altroché. Mascherina obbligatoria se avete qualche malattia (anche banale), e possibilità di fare check-up istantanei per sapere le condizioni in tempo reale.

Ci sono poi situazioni dove devo fare buon viso a cattivo gioco. Per esempio, ultimo dell’anno di pochissimi anni fa: sono a casa di due miei carissimi amici in provincia di Firenze, siamo un gruppo di cinque persone, sembra tutto apposto. Che succede? L’amica co-padrona di casa ci dice “Non statemi vicino, ho un po’ di temperatura”. “Ah vabbè, cosa sarà mai… trentasette, trentasette e qualche linea” dico io. “No no, trentotto e sette” ribatte lei. Trentotto e sette. Trentotto e sette. Sono a casa di due carissimi amici, ok, ma una di questi due ha trentotto e sette: ha cucinato, ha apparecchiato, ha toccato qui e là, ed io? Fra l’altro ero anche d’accordo per dormire a casa loro. Come mi disse una mia ex fidanzata anni anni ed anni fa per un’altra questione, “o bere o affogare”. Allora mi armai di tutta la mia buona volontà e resistetti. La mia amica fra l’altro dimostrò una forza di volontà ed una tenacia clamorosa perché io a trentotto e sette sono orizzontale con pensieri deliranti, lei invece paradossalmente sembrava la più sana di tutte (e qui ritorna l’argomento dei maschi che con la febbre sembrano zombie e le donne invece in forma come sempre, naturalmente è un luogo comune ma devo ammettere che è vero). Il programma non ha variazioni, dormo lì, la mattina dopo insieme agli altri amici ritorniamo a Rosignano e sto bene, anche i giorni dopo non ho alcun problema. Una vittoria dovuta naturalmente a miei accorgimenti, altrimenti col cavolo che avrei vinto. In realtà sarebbe andata bene anche senza precauzioni ma vallo a dire all’ipocondria, se non le rendi merito poi s’incazza ulteriormente.

L’ipocondria però porta anche dei risvolti positivi: uno di questi è, per esempio, l’essere diventato un esperto medico. Non prescrivo medicine ovviamente, però se avete bisogno di un piccolo consulto, non esitate a scrivermi. Oh, sono comunque un Dottore. Sì vabbè, in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione, ma che c’entra, sempre Dottore sono, fidatevi. Un Dottore è per sempre.

Probabilmente qualche ipocondriaco sta leggendo queste righe. A te voglio dire: hai amici infermieri e/o medici? Se sì, bene, se no, consiglio di farteli. Però: non sentirti sbagliato, non sentirti giudicato, non sentirti male, ecco. Come? Hai starnutito? No no allora esci da quest’articolo, via via, scusami ma magari mi puoi infettare tramite la tastiera del tuo computer che se clicca su questa pagina può inviare qualcosa di contagioso. Casomai leggilo quando stai meglio, ok? Comunque, caro amico, dall’ipocondria si può guarire totalmente.

Però inizia tu, che io ho dolori intercostali e mi sto preoccupando.

 


I migliori amici dell’ipocondriaco


La mascherina, per un mondo migliore.

 

P.S.: ma l’ipocondria è contagiosa? Se un ipocondriaco guarisce e poi incontra una persona che invece ha ancora l’ipocondria, gli può ritornare o è tipo la varicella? Chiedo per un amico.

 

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