Ogni tanto interrompo volentieri la saga dei piccoli distruttori di mondi per parlare d’altro.
Lo so, siete stanchi e sonno-deprivati; per cui la vostra curva dell’attenzione ha bisogno di essere sciagattata per poi, più confusi e disorientati di prima, tornare a parlare della vostra peggiore scelta di vita.
Si. Oggi parliamo di cani morti, perché, incredibile a dirsi, questi pisciatori impuniti, masticatori di oggetti immasticabili, troncaginocchia e slogagiunture, nascono, crescono e muoiono.
E lo fanno sempre troppo presto, sempre cogliendoci di sorpresa come quando da cuccioli ci zompavano con tutto il loro dolce peso sui coglioni o ci camminavano a tradimento sui piedi rigorosamente nudi.
Ho fatto una settimana di ferie, in questa settimana due cani a cui ero particolarmente legata hanno deciso del tutto arbitrariamente di rendere questo mondo più povero. Non ci vado più in ferie: credo che Milla l’abbia scampata per un pelo, visto che erano entrambe grossomodo sue coetanee.
Ma lei vive bellamente ignara dei suoi dieci anni dall’alto della sua genetica (e indole) bastarda.
Nora e Azarel sono state le uniche due femmine con cui volente o nolente la bionda slava sia mai andata d’accordo.
Azarel era una rottweiler allegra, competente e gentile, delicata quanto una mandria di bufali, appiccicosa come un geco sul muro. Si odiavano formalmente, ma lasciavano perdere per il quieto vivere, demandando ad un cancellino alto quaranta centimetri la decisione su chi dovesse governare la galassia.
Aza era una vecchia cinquecento scalcinata con il motore di una Ferrari: nonostante l’artrite e i reumatismi non mollava mai, men che meno di fronte all’agilità delle lunghe zampe cecoslovacche.
Come quella volta che, richiamandole in casa, Aza mi corse in contro subito con quella sua andatura scomposta, mentre la bionda slava continuava a farsi bellamente gli affari propri; ma accortasi quanto fosse rimasta indietro, in due secondi scattò verso la porta, affiancandosi alla rottweiler appena prima che attraversasse il traguardo.
Aza non ne volle sentire, con una spallata deviò il proiettile slovacco mandandolo a schiantarsi contro il muro come un moscerino sul parabrezza ed entrandomi sulle ginocchia col garbo di un caterpillar senza impianto di frenata.
Questa era Azarel. Potenza senza controllo, determinazione e artrite, risate e traumi alle articolazioni (le mie).
Nora. Sessanta chili di culone meticcio e signorile indifferenza. Lei attraversava il mondo col suo mezzosangue danese sfiorandolo appena, agitando con eleganza una coda esile quanto un tronco di pino secolare, fregandosene di qualsiasi cosa che non fossero le sue intoccabili palline, Paolo, oppure Laura.
Viveva secondo questi tre dogmi, il resto del mondo avrebbe potuto esplodere: lo avrebbe guardato frantumarsi con regale vacuità.
Milla con lei andava d’accordo naturalmente, forse consapevole di pesare un terzo di Nora e che alla gigantessa sarebbe bastato sedersi placidamente su di lei per procurarle una sindrome da schiacciamento da farle uscire i reni dal naso. Bionda si, stupida no.
Hanno camminato fianco a fianco, hanno diviso il letto di Paolo, casa e ciotola senza discutere; Milla non aveva niente da dire sotto la minaccia del culone di Nora.
E quel pomeriggio in cui si sono conosciute, mentre la slovacca si lasciava andare alle scalmane correndoci intorno come un elettrone sotto cocaina, la mezza regina danese avanzava col passo lento ed inesorabile di un Ent, guardando la plebea bionda con un misto di compassione e bonario ribrezzo.
No. Non parlerò di ponti arcobaleno e simili, anche perché Azarel lo avrebbe fatto a pezzi e masticato e Nora lo avrebbe trovato volgare.
No, vi lascerò con parole non mie, citando un saggio professionista e irrinunciabile compagno di vita:
“Quando smetterete di piangere per la sua mancanza e riuscirete a ridere delle avventure insieme, allora sarà il momento di accogliere un altro cane.”