Il 22 novembre del 1991 Freddie Mercury (Frederick Bulsara, 1946 – 1991), carismatico e istrionico leader dei Queen, invitò il manager della band, Jim Beach, nella sua casa di Earls Court per rilasciare, il giorno dopo, un comunicato ufficiale da consegnare alla stampa. La sua dichiarazione recitava: “In seguito alle numerose illazioni dei media, desidero confermare che sono stato risultato positivo all’HIV e sono affetto da AIDS. Questa informazione è privata per proteggere la privacy di chi mi circonda. Tuttavia è arrivato il momento che i miei amici e i miei fan in tutto il mondo conoscano la verità e spero che tutti si uniranno a me, ai medici che mi seguono e a quelli del mondo intero nella lotta contro questa tremenda malattia…”.
L’affermazione di Mercury non faceva alcun riferimento alla sua sessualità, fedele alla politica di non commentare la questione fino alla fine. Una delle ragioni del silenzio di Freddie riguardo alla sua malattia era la preoccupazione per come questa rivelazione si sarebbe riflessa sulla sua immagine pubblica. All’epoca avere l’AIDS significava essere gay o tossici. Ma una rockstar come Freddie Mercury poteva superare alcuni limiti o confini di genere: sul palco, indossava abiti che lasciavano alle spalle le norme sociali: body, mantelle con ali d’angelo, shorts attillati e abbigliamento in pelle o PVC che evocavano un’immagine del motociclista sexy allora popolare nei nightclub gay. Lui era uno spirito
Freddie Mercury muore il giorno dopo, all’età di 45 anni, a causa della polmonite legata all’AIDS. Lascia la sua gloriosa vita nello stesso modo in cui l’aveva vissuta fino alla fine, leaping through the skies like a tiger, saltando attraverso i cieli come una tigre. Saluta questo mondo che ha conquistato e si congeda con dignità e sicurezza, con coraggio e serenità, mentre un lieve sorriso si imprime sul suo bel volto.
Inside my heart is breaking
My make-up may be flaking
But my smile still stays on
Per Mary Austin invece quel freddo giorno d’inverno è un giorno tremendo, che apre un grande vuoto nella sua vita. Era come se non avesse più la sua famiglia. “Freddie era tutto per me”, dichiarò al Daily Mail. Aveva appena perso il suo amore eterno e l’unica sensazione che la consolava è che insieme avevano onorato il matrimonio delle loro anime, tenendo fede alle promesse non scritte, restando vicini “nella gioia e nel dolore, nella povertà e nella ricchezza, nella salute e nella malattia”, e che si sono amati e onorati tutti i giorni della loro vita. La loro storia d’amore è stata bellissima, anche se tragica. “Non avrei mai potuto lasciare Freddie se non fosse morto – e anche allora è stato difficile”, dichiarerà anni dopo.
Suscitando l’invidia nei suoi compagni di band e la grande sorpresa di tanti, soprattutto tra i suoi amici gay, Freddie lasciò alla Austin la maggior parte della sua fortuna (molte decine di milioni di dollari), assicurandole pure un reddito a vita grazie alle royalty e ai diritti delle sue pubblicazioni discografiche a cui di recente si sono aggiunti i diritti di sfruttamento derivati dal successo del biopic musicale più visto di sempre e con il maggiore incasso nella storia del cinema (circa un miliardo di dollari), Bohemian Rhapsody, vincitore di quattro Oscar, compreso quello per il miglior attore a Rami Malek.
Freddie le donò anche la sontuosa villa georgiana di 28 stanze a Kensington, che si erge dietro un giardino giapponese curatissimo cinto da mura di mattoni a Garden Lodge, dove la donna vive tuttora. É una specie di santuario, dato che la Austin non ha cambiato l’arredamento della casa dei sogni del suo ex fidanzato, piena di gatti esotici e divani bordeaux, lasciando l’arredamento esattamente com’era quando Freddie è morto: “Aveva uno stile impeccabile, quindi perché cambiarlo?”.
Le donò davvero molto, come se fosse stata la sua vedova. Del resto lei c’era stata prima dei soldi e della fama, durante e anche dopo, nella malattia.
(Estratto da Love (& Music) Stories – Le storie d’amore più belle della musica)