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Preparativi di viaggio: quell’insana passione per “la lista”

Recensione + Intervista “Il suono della Solitudine”, Michele Marziani

Recensione + Intervista “Il suono della Solitudine”, Michele Marziani

Oggi ho il piacere di recensire uno dei (tanti) libri che ho acquistato al Pisa Book Festival; manifestazione che è stata piena di eventi culturali molto interessanti e dove ho avuto piacevoli incontri.

Il suono della solitudineIL SUONO DELLA SOLITUDINE

di Michele Marziani

 

Editore: Ediciclo

Pagine: 91

Collana: Piccola filosofia di viaggio

 

SINOSSI.  La collana «Piccola filosofia di viaggio» invita lo scrittore Michele Marziani a mostrarci i lati affascinanti della solitudine, una dimensione faticosa ma bellissima che aiuta a superare la paura del mondo, fa viaggiare il pensiero creativo, dona libertà e voglia di fare, a patto di essere sinceri con se stessi.

 

RECENSIONE. 

Ti domandi se si possa cominciare a scrivere di pomeriggio. Tanto più in un pomeriggio freddo e piovoso. Un libro sulla solitudine. Stai per rimandare per l’ennesima volta a domani. Sono giorni e giorni che lo fai. Con scuse differenti. Quella di oggi è che hai sempre cominciato a scrivere di mattina. Ma la verità non è questa. Non rammenti mai degli inizi, se mattutini o pomeridiani. La verità è che hai paura. Sei terrorizzato dall’idea di non trovare le parole per raccontare la bellezza di una solitudine ricca, feconda, così lontana dalla tristezza e dal dolore di essere soli.

Michele, inizia così il suo libro che ha come protagonista la solitudine, una condizione famosa per essere negativa della quale vergognarsi e della quale si “nega” l’esistenza, alle volte.  In questo testo invece, l’autore ci illustra come in realtà la solitudine sia una condizione positiva e molte volte necessaria per riscoprire noi stessi. Non è un romanzo, non è un saggio; io lo definirei un piccolo libricino che ci invita alla riflessione e alla crescita personale e che ognuno di noi dovrebbe avere nella sua libreria.

Attraverso questo testo, Michele ci racconta la solitudine attraverso i momenti salienti della sua vita, dai quali ha tratto delle riflessioni che riporta a noi, in queste pagine, scritte in modo chiaro, semplice, senza pretese e senza usare un gergo da professore, anzi: è come se l’autore fosse un amico che non vedi da tanto tempo.

Per una lunga parte della tua vita pensi di essere sbagliato. Probabilmente ti hanno programmato male.

Questo è il pensiero che accompagna l’autore nella sua riflessione (e che tutti noi almeno una volta abbiamo pensato) parlando di solitudine. Una riflessione che porta alla concezione finale che la solitudine è un grande dono e che, come tale, non è per tutti.  Michele infatti ci introduce una differenziazione: esistono due tipi di solitudine, quella positiva, malinconica, l’essere “serenamente solo” quando, per esempio, sei in riflessione, magari davanti ad un paesaggio, ad un tramonto, e quella negativa che è il sentirsi solo “come un cane” quella in cui non hai nessuno anche se tu lo volessi. Nella lingua italiana non esiste questa differenziazione, ma che in inglese possiamo definire rispettivamente come “Solitude” e “Loneliness“. La solitudine inoltre va apprezzata e impegnarsi per mantenersela, perché ci dice che il limite è sottile tra la solitudine benefica e la solitudine che ti induce poi, alla malattia e alla sregolatezza (perché non è scontato: anche nella solitudine dobbiamo imporci delle regole per non cadere nel baratro).

Ecco, riparti da lì, da quello che sanno fare le tue mani. Non sei sbagliato. Sei solo diverso.

E’ un libro che mi ha emozionata molto e mi ha fatto fare molte domande su me stessa, ha delle grandi potenzialità nonostante sia un libricino di poche pagine. Il mio consiglio infatti è quello di leggerlo con le dovute pause per riflettere davvero su quello che si sta leggendo e su noi stessi. Non vorrei svelare altro di questo testo, ma vorrei invitarvi a leggere l’intervista che Michele mi ha concesso quando ci siamo incontrati al Pisa Book Festival.

 

 

INTERVISTA.

1. Sin dalla prima pagina, si legge che “Michele Marziani legge. Scrive. Viaggia. In quest’ordine.” quindi ti chiedo: Come è nata la passione per o il bisogno di scrivere? 

<<Il bisogno di scrivere è nato da questo, è molto facile: allora, io leggo molto e mi appassiono alle storie e io sin da piccolo ho sempre voluto raccontare storie, però in realtà io volevo disegnare fumetti, volevo fare il fumettista, ero un gran lettore di fumetti. E quindi disegnavo, disegnavo, disegnavo tantissimo, ma il disegno per me aveva un limite enorme, perché tutto ciò che immaginavo lo disegnavo e non era come lo immaginavo io.

Questo per me, all’età di 13-14 anni è stato un momento di depressione totale perché realizzai che non potevo fare quello che avevo sempre sognato di fare. Ho cominciato a scrivere perché cominci a scrivere le cose da ragazzetto durante l’adolescenza e nello scrivere mi sono reso conto che provavo delle cose che non avevo provato prima, quindi non dovevo riconoscerle e focalizzarle come nel disegno. Da lì ho capito che le mie storie potevano passare dalla scrittura, senza darmi quel senso di frustrazione che mi dava il disegnare come volevo io. >>

2. Il tuo libro parla si di solitudine, ma non con un accento negativo, bensì positivo. Quindi ti chiedo: com’è nato questo libro? 

<< Io non solo parlo della solitudine in maniera positiva, ma addirittura la cerco. Le spiego: Io ho scritto questo libro per caso. Ad un certo punto della mia vita io ho realizzato un desiderio che avevo, che era quello di andare a vivere in montagna; quando ho deciso di partire, i miei amici hanno iniziato a dire “Ma come, SOLO, in montagna, isolato d’inverno, morirai di freddo….” e altre affermazioni del genere, terribili. Poi sono partito, sono andato a vivere in montagna, è arrivato l’inverno ed è stato il più bello della mia vita, è tornata la primavera e ho pensato che su questa mia condizione avrei potuto scriverci un libro. Quindi ho contattato Ediciclo Editore, editore con il quale ho pubblicato altri libri e gli ho chiesto se  poteva interessargli un libricino sulla solitudine e loro hanno accettato.

In quel momento avevo in mente l’idea di un saggio; quindi mi sono preparato, mi sono letto tutto ciò che riguardasse la solitudine da Seneca a Wittgenstein, e quando sono arrivato a scrivere… non riuscivo ad iniziare, perché sentivo che il libro mi chiedeva di andare più a fondo al tema, di capire perché io ad un certo punto ho cominciato ad apprezzare un modo di vivere da solitari che non vuol dire affatto essere soli; Perché qui sta il gioco: noi in italiano abbiamo una sola parola per definire la solitudine, che però in realtà indica due mondi completamente diversi. Gli inglesi infatti hanno due parole per parlare di solitudine: la parola “Solitude” che sta a significare la “bella solitudine” quella un po’ malinconica, dove sei solo e rifletti guardando le onde del mare, quella che piace a me per capirci, e poi hanno il termine “Loneliness” che invece è quella solitudine che ti fa dire “sono solo come un cane e non ho nessuno al quale rivolgermi”.

Da li ho cominciato a fare una serie di ragionamenti che mi hanno portato a parlare di me e di conseguenza mettermi a nudo e francamente non è che ne avessi tanta voglia; io sono uno a cui piace scrivere storie, ma le storie di altri, mi piace inventarle, non mi piace parlare di me, ma questo libro ha reso necessario scoprirmi e andare più a fondo. Sono andato quindi a ricercare l’origine della mia solitudine che risale ai primi anni della mia infanzia: Io sono cresciuto a Rimini, negli anni ’60; vivevo in un condominio e c’erano un sacco di bambini e tutti andavano a giocare in cortile a pallone. Per me era una tragedia: a me non piaceva giocare a pallone perché avevo un occhio bendato, gli occhiali e quindi dopo qualche tiro venivo cacciato dal campo e quindi andavo dalle bambine, le quali mi dicevano che si, avrei potuto giocare con loro, ma mi rilegavano nel ruolo maschile de “il papà”; quindi pur essendo sempre in mezzo ai bambini, ero “solo”.

Poi ho iniziato ad andare a scuola e ho imparato a leggere e da li, mi si è aperto un mondo: scopro che il mondo non è quel cavolo di cortile con i bambini che giocano a pallone e le bambine che cullano i bambolotti, ma è infinitamente più grande e c’è dentro di tutto. Comincio quindi a fare un’operazione molto solitaria di leggere un’enciclopedia per ragazzi intitolata “Conoscere” di diciassette volumi. Io passavo le mie giornate con Albert Einstein, Madame Curie, Furio Camillo, Carlo Magno…. passavo delle grandi giornate. Però sentivo i miei genitori che dietro la porta si preoccupavano e dicevano tra loro “Eh però, Michele è sempre solo, non esce più, non sta più con i suoi amici…”

Quindi è questa la differenza: tu puoi essere solo come un cane anche in mezzo alla moltitudine, in mezzo ai bambini e allo steso tempo, quando gli altri ti pensano solo tu invece sei in un mondo tutto tuo e non ti senti affatto solo. Questi ragionamenti mi hanno portato a scrivere questo libro, che alla fine non volevo pubblicare perché troppo personale, ho pensato che a nessuno sarebbe interessata la mia storia. Invece, mia figlia più grande mi ha convito a pubblicarlo, dicendomi che molte persone si sarebbero potute immedesimare in questa storia. E per il riscontro che ho avuto e che sto avendo, dico che mia figlia aveva ragione.>>

3. Tu scrivi nel libro del sapersi “concedere” al vino e al tabacco (senza cadere nel tabagismo e nel alcolismo).  Ecco, che cosa puoi dirci dei social?

<< Ti rispondo subito, i social credo siano un mezzo di relazione molto potente, capace di farci vivere quasi un’altra vita e al tempo stesso sono un gioco divertente e utile a cui puoi partecipare con leggerezza… Il problema è che se la nostra vita non ci piace, la tentazione di averne un’altra migliore on line è molto forte… Sì, in fondo è come il vino, il tabacco o altre sostanze, se diventano loro il centro della vita noi ci rimettiamo la nostra di vita. Perdiamo la libertà di essere noi a scegliere. È l’ansia di presenza continua, di like, a scegliere per noi.>>

4. Un’ultima domanda, anche un po’ provocatoria: Perché una persona dovrebbe leggere il tuo libro? 

<<Dal mio punto di vista di scrittore, ti direi perché è scritto bene, è un bel libro. Onestamente, ti dico, è un libro ha avuto e sta avendo un riscontro (perché la parola successo non mi piace) molto alto, più di quanto mi aspettassi. Probabilmente perché le persone riescono a trovare qualcosa di loro dentro a questo testo.  La mia intenzione non era questo tipo di libro, ma ho voluto accettare la sfida di onestà con il futuro lettore; Non volevo scrivere un saggio perché il mio obiettivo era quello di essere letto e di portare un semino, una riga, una virgola nella vita di chi legge, beh ho avuto la fortuna di esserci un po’ riuscito.>>

 

Per il mio modestissimo e umile parere, si, c’è riuscito.  Ringrazio Michele per la sua disponibilità e per la sua gentilezza, sperando di avere un altro suo titolo tra le mie mani al più presto.

 

Buona Lettura a tutti!

 

Rachele.

 

 

 

 

 

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Rachele Bini

Rachele, 31 anni. Una, Nessuna, centomila. Copywriter e amante della comunicazione, la scrittura è il suo pane quotidiano. Ha gestito un Ufficio Stampa per una piccola Casa Editrice Indipendente. Aspirante Giornalista, scrive per "Il Tirreno".

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