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The New Pope: finale di stagione di un altro capolavoro a firma Sorrentino

The New Pope

The New Pope: finale di stagione di un altro capolavoro a firma Sorrentino

Se volete un’alternativa a un’altra serata di questo neverending Sanremo 2020, consiglio a chi tra voi ha ceduto alla pay-tv di sintonizzarsi su Sky Atlantic. Alle 21.15 andrà infatti in onda The New Pope, sequel di The Young Pope, serie a tema ecclesiastico creata e diretta da Paolo Sorrentino, prodotta da Sky, HBO e Canal+. Se lamentate stanchezza o assuefazione dalla solita dose di panem et circenses che ci propina la tv generalista, sicuramente non rimarrete delusi dalla serie in questione.

Unico favore che vi chiedo: non mi spoilerate il finale perché oggi faccio il doppio turno in WiP, e stasera devo commentare il Festival. (Mentre guardate la serie, date quindi un occhio ai nostri social. In questo modo, non scenderete a compromessi con il sistema e guadagnerete ore di sonno. In più, domani potrete comunque interfacciarvi con la gente senza che vi considerino alieni per non aver seguito le ultime dalla città dei fiori).

Un quadro

Come nella stagione precedente, Sorrentino dipinge senza la benché minima retorica una Chiesa de-istituzionalizzata, non patinata, ma caratterizzata da un’umanità febbrile, vittima delle proprie manie. Il perno narrativo è sempre quello: la riflessione su una Chiesa in preda alla schizofrenia, a tratti abbarbicata ad un conservatorismo che odora di restaurazione, a tratti indulgente verso prese di posizione scandalosamente rivoluzionarie.

Lo sviluppo procede per tensioni dialettiche: assenza/presenza, umano/divino, eterno/attuale, spirituale/mondano, pauperismo/materialismo. Anche regia e fotografia si dipanano secondo sintesi tra opposti. Lo sguardo di Sorrentino si nutre infatti di bellezza e di sfarzo (vedi la ricchezza delle ambientazioni), ma rigurgita tale bellezza restituendo una visione allucinata, psichedelica, dadaista, contaminando sacro e profano, fantastico e reale. Le croci al neon o i sottofondi elettropop sono eloquenti in tal senso.

La serie

La struttura di The New Pope, in generale, appare più istituzionale rispetto alla prima stagione, abbracciando con meno diffidenza i canoni dello sviluppo seriale, con sottotrame, storie parallele e numerosi flashback. Inoltre la narrazione richiama un po’ l’idea che sta alla base di Loro. L’immagine del Papa è spostata infatti in secondo piano rispetto a suoi “cortigiani”, chiamati a confrontarsi con problematiche tanto contingenti quanto universali.

The New Pope riprende certamente alcuni dei temi cardine di The Young Pope. Ad esempio, il potere e la parabola cui è condannato chi non è in grado di sostenerlo, i rapporti tra potere temporale e spirituale (con la relativa discrezionalità del primo e insindacabilità del secondo). E ancora: l’importanza di scegliere le tecniche comunicative giuste per raccogliere proseliti, che profila l’immagine di una Chiesa sempre più “brandizzata”.

E tuttavia, sono affrontate anche questioni inedite. In filigrana a tutta la serie c’è il tema dell’amore e delle sue isterie, che si cristallizza in un’indagine a tutto campo sulle varie forme di sessualità, sia tra gli ecclesiastici che tra i laici. Particolare attenzione è riservata allo studio del corpo, declinato in tutte le sue condizioni e funzioni, superando la classica convinzione cristiana del corpo-prigione culminante nel martirio.

E poi, il contrasto ai fondamentalismi, con i jihadisti ormai alle porte e una neocostituita setta votata all’idolatria del vecchio papa, l’immigrazione e la parità di genere. Quest’ultima, secondo me, è la trovata più originale della serie, che dedica molto spazio alle rivendicazioni delle suore di clausura deputate all’assistenza dei cardinali. Per Sorrentino, infatti:

Una volta che il Vaticano avrà risolto il problema pressante della pedofilia, quello della parità dei sessi potrebbe essere il prossimo da affrontare. Il Vaticano è un posto molto maschile e ho cercato di prendermi tutti gli spazi possibili per bilanciare.

I protagonisti

Protagonisti assoluti di questa serie sono senza dubbio Voiello (il Segretario di Stato), Giovanni Paolo III (il “nuovo” Papa) e Pio XIII (il “vecchio” Papa). Di Voiello, impersonato da un inaspettato Silvio Orlando, si scopre un’umanità inedita e una vena comica autoironica, che ce lo rendono più vicino e meno freddo e caricaturale. John Malkovich interpreta magistralmente Giovanni Paolo III (al secolo, John Brannox), un aristocratico colto e sofisticato, arbiter elegantiae, un dandy che naviga nel proprio autocompiacimento ma ostaggio di un passato segreto e indicibile. Delicato come velluto, fragile come porcellana, teorico della “via media”:

Prima la coscienza, poi l’infallibilità papale; prima il compromesso, poi i dogmi.

E poi c’è Jude Law, che presta le proprie spoglie a Pio XIII, il papa che si trova in stato comatoso, in un crescendo di apparizioni che diventeranno sempre più palpabili.

Nota a piè di pagina

Sono davvero tanti gli spunti di riflessione che questa serie è capace di donarci. Sicuramente, il rifiuto di ricostruzioni manichee e di un dogmatismo cieco e pregiudiziale, apportando nuova linfa anche al classico “L’apparenza inganna”. E magari si scopre che in un mondo in perenne ricerca dei “quindici minuti di celebrità”, stare defilati paga molto di più. O che dare sfoggio della propria fragilità ci rende più forti.

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