Marie Curie al cinema: quando i legami di un’epoca superano quelli di un atomo
Se non siamo capaci di vivere globalmente come persone, almeno facciamo di tutto per non vivere globalmente come animali.
Così ci ammonisce Saramago in uno dei suoi capolavori. Mi riferisco a Cecità, tornato alla ribalta in occasione dell’epidemia che sta mettendo a dura prova fisico, psiche e morale del genere umano. Si tratta di un romanzo profetico, soprattutto per la descrizione delle dinamiche sociali che seguono la presa di coscienza di una pandemia globale in atto. Romanzo di cui però consiglio di rimandare la lettura a tempi più sereni, almeno ai più suggestionabili.
Che dire, questo virus ha messo a dura prova anche il regolare procedere di questo blog. Occupandosi principalmente di eventi culturali, esso non può farsi leggere senza che il suo umile trascrittore vada in giro a procacciarsi cibo per la mente sempre più gustoso. L’uso del tutto casuale di questa metafora mi fa pensare ad una versione di mondo alternativa. Un mondo in cui la gente, invece di prendere d’assalto i supermercati e fare razzia di ogni genere alimentare (penna liscia tua, vita mea), affolli teatri e musei per fare scorta di bellezza. Vabbè, lasciamo perdere queste velleità da finto romantico.
Covid-19 e show-business
Questo per dire che il dilagare di Covid-19 sta compromettendo non solo gli equilibri economici, il settore turistico-alberghiero, il sistema scuola, ma anche il mondo della cultura e dello spettacolo. Basti pensare che solo la scorsa settimana si stima siano saltati 7400 spettacoli, con una ricaduta devastante su imprese, compagnie e lavoratori di categoria. Ora, con l’emanazione del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 4 marzo, il bilancio si fa ancora più drammatico.
Le uniche attività che, seppur arrancando, riescono a stare aperte, potendo garantire le norme di sicurezza previste dal governo (tra cui l’annosa distanza interpersonale di 1 metro), sono i cinema. Per quanto in regime di “razionamento” – sia di spazi che di titoli in uscita –, i cinema possono costituire un buon incentivo a non abdicare del tutto alla nostra vita sociale. Che è poi ciò che ci rende umani, e ci difende dal rischio sempre più palpabile di diventare meri (e super-fallaci) elaboratori singoli di informazioni.
Vi propongo quindi di uscire e di andarvi a vedere Marie Curie, di Marie Noëlle, nelle sale italiane da ieri (giovedì 5 marzo), con Karolina Gruszca nei panni della scienziata polacca.
Marie Curie
Il biopic, girato nel 2016, racconta la storia di Marie Curie – Maria Salomea Sklodowska prima della naturalizzazione francese – fisica e chimica polacca due volte premio Nobel. Nel 1903 ne fu insignita per la fisica – con il marito Pierre e il fisico Henri Becquerel – per lo studio dei primi elementi radioattivi, nel 1911 per la chimica, per aver scoperto il radio e polonio.
La Noëlle si sofferma sulla vicenda umana più che su quella professionale della Curie, forse perché meno nota, in particolare sui sei anni successivi la scomparsa del marito. La Curie non sfida solo un ambiente accademico fortemente refrattario alla presenza femminile – diventando professoressa alla Sorbona –, ma anche convenzioni sociali falsamente moraliste, essendo una madre single e tentando di rifarsi una vita. Alle donne non era consentito gestire in autonomia vita privata e professionale, e l’una inevitabilmente minava la credibilità guadagnata nell’altra. Traspare così un’immagine meno patinata della scienziata pioniera della radioattività, che lascia posto a quella di una donna icona di un femminismo ante-litteram.
Le Curie di oggi
Quella di Marie Curie non è che una tra le tante storie di pregiudizio del mondo scientifico verso il genere femminile. Si pensi a Rosalind Franklin, la prima biologa a documentare la struttura a doppia elica del DNA, scoperta per cui sono stati riconosciuti solo Crick e Watson. O a Jocelyn Bell-Burnell, la dottoranda di Cambridge che ha scoperto le stelle pulsar, ma a cui il relatore di tesi ha “soffiato” il Nobel. O, per ritornare all’oggi, alle ricercatrici dello Spallanzani che hanno isolato il coronavirus, una delle quali è precaria, nonostante gli encomi a pioggia delle istituzioni. Le stesse istituzioni che ignorano le critiche situazioni contrattuali di moltissime ricercatrici e ricercatori.
Salviamoci da noi stessi
Riconducendomi alla riflessione iniziale, oggi più che mai è necessario che chi orbita a vario titolo intorno al mondo della cultura – dai fruitori ai professionisti – mandi un segnale di coraggio. Non sto incitando ad un’insensata sprovvedutezza, ci mancherebbe; le raccomandazioni che riceviamo sono importanti e vanno seguite. Urge però che, almeno negli ambienti culturalmente più fervidi, non predomini il panico e un individualismo votato all’autoconservazione. Solo così potremo salvarci dall’inesorabilità della “geniale intuizione” dell’agente Smith.