C’è un tempo per viaggiare. Il tempo della scoperta, del seguire il richiamo della curiosità, dell’avventura e della voglia di evasione, per riempirsi occhi e orecchie di immagini e suoni sconosciuti.
Poi c’è il tempo del ritorno. Il momento in cui si fa l’inventario di tutto quello che abbiamo portato a casa: esperienze, nuove amicizie, gioie, paure, emozioni, ricordi, oggetti.
Nella mia esperienza personale questi sono gli aspetti che, insieme all’organizzazione che lo precede, compongono il concetto di viaggio. Sono momenti che scelgo. Per quanto siano condizionati da alcuni fattori esterni (il periodo delle ferie, i soldi a disposizione, ecc.) sono io che decido quando e dove.
Oggi non è così.
Qualcosa al di sopra della mia, della nostra volontà, ci sta fermando. E non mi riferisco alle scelte di altri (dovute evidentemente alla situazione) ma qualcosa che non possiamo né vedere né toccare. Un virus che, nella nostra memoria, richiama soltanto le trame di alcuni film o libri.
E’ scontato dire che, in tutto questo caos, il problema principale non è certo il non poter viaggiare: la salute delle persone, l’impossibilità di lavorare, i danni per l’economia, hanno ovviamente la priorità. Ma l’idea stessa di non essere liberi di spostarsi è destabilizzante, almeno per me.
Viviamo un’epoca in cui viaggiare è più o meno alla portata di tutti. I biglietti aerei, che quando ero ragazzina costavano cifre importanti, oggi possiamo trovarli a prezzi spesso irrisori; internet ci permette di prenotare alloggi di ogni tipo con un clic, possiamo realizzare il desiderio di un week end lontano da casa in dieci minuti.
“Organizziamo un fine settimana a Barcellona?” Clic, fatto.
“Andiamo a dormire in un trullo ad Alberobello?” Clic, fatto.
Ma oggi no. In qualche modo, la globalizzazione che fino a ieri ci ha permesso tutto questo, è la causa dello stop. L’Italia si è fermata, il resto d’Europa e il mondo, purtroppo, sembrano doverci seguire a ruota.
La mia non vuole certo essere una lamentela, ma solo una riflessione. E dal momento che siamo obbligati, non solo per decreti imposti dal Governo ma, prima di tutto, per senso di responsabilità, a restare nelle nostre case e a guardare il mondo da una finestra, è giusto cogliere l’occasione per pensare…pensare quanto tutto, in questa vita, sia labile. Pensare che niente è scontato, neanche cliccare e partire. Che tutto, prima o poi, può avere una fine e che ci può essere un nuovo inizio, nato anche da esperienze difficili e tragiche come quella che stiamo vivendo collettivamente.
Stiamo imparando che tutto può cambiare improvvisamente.
Stiamo imparando che la possibilità di viaggiare a cui eravamo abituati è un privilegio e non solo al tempo del corona virus ma anche, ad esempio, rispetto ai tempi della gioventù dei nostri nonni, che hanno vissuto la guerra.
Stiamo imparando che è importante conoscere e comunicare non solo con persone di paesi lontani, ma anche e soprattutto con i nostri vicini di casa, con i nostri concittadini, con tutti quelli che abbiamo incrociato mille volte e che abbiamo sempre ignorato.
Stiamo imparando che di fronte a un virus non ci sono ricchi o poveri, non ci sono etnie, ma solo essere umani.
Stiamo imparando il valore di un abbraccio e di una stretta di mano.
Stiamo imparando l’importanza di quello che era troppo scontato per essere davvero apprezzato.
Restiamo fermi e cerchiamo di fare tesoro di quello che questo strano periodo ci sta insegnando, fino al giorno in cui potremo di nuovo stringerci la mano, abbracciarci, viaggiare, ma questa volta con il dovere di non scordarne mai più il valore.
Con la consapevolezza dell’importanza di ciò che pensavamo intoccabile: la libertà.