di Marco Malvaldi & Glay Ghammouri.
Editore: Sellerio editore Palermo
Pagine: 203
SINOSSI: “Una commedia da camera si potrebbe definire Vento in scatola, solo che in questo caso la camera, l’ambiente chiuso in cui tutto si svolge, è molto grande: un carcere. Le celle, i corridoi, «l’aria», le zone degli assistenti, la stanza del dirigente, i luoghi di punizione (non c’è in questo carcere la tremenda «cella liscia»): qui i detenuti interagiscono tra di loro e con i sorveglianti, cercano di stabilire gerarchie e simpatie, e di passare il tempo. Al centro di questa vicenda corale, che non ha niente di autobiografico pur avvalendosi di esperienze vissute, c’è un giovane che si forma cittadino: un tunisino, abile broker nel suo paese, in carcere per un reato che non ha commesso ma impunito per una truffa di cui è colpevole. Mentre trascorre normalmente la pena, gli capita una cosa che mette i brividi e lo costringe a una scelta.
RECENSIONE.
Non si può tenere il vento in scatola, dice un proverbio delle mie parti.
Il libro nasce da un incontro durante un corso di scrittura tenuto nel carcere di Pisa, tra Marco Malvaldi (dalla maggior parte di noi conosciuto per “I delitti del BarLume“) e Glay Ghammouri, un ex militare tunisino che oggi è detenuto in Italia a causa di un grave delitto. L’obiettivo del testo è quello di mostrare l’interno di un carcere mettendo in scena la quotidianità, il tempo che scorre lento e indistinto, la sua giustizia e la sua ingiustizia.
In questo posto le ventiquattro ore scorrono veloci e indistinguibili come la striscia dell’autostrada, mentre le ore singole sono lente, pesanti e ancora più insensate.
Salim Salah, il protagonista di questo romanzo, è in carcere per un crimine che non ha commesso, ma in realtà ha commesso un altro crimine dal quale è rimasto impunito. Mi spiego meglio: Salim sta scontando una pena per un reato che non ha commesso ma nel quale è stato incastrato, ma accettato comunque la sua condizione per due motivi: il primo è perchè l’avvocato che si è occupato del suo caso lo ha gestito in modo pessimo e il secondo motivo è perché Salim è colpevole di un reato di frode, del quale però non è stato “beccato”.
<< E insomma tu sei laureato, Salim?>>
<<Si. Laureato. Economia e Finanza. Università di Gafsa.>>
<< E com’è che sei finito qui?>>
<< E’ lunga come storia.>>
Edmond si accomodò al muro appoggiando la schiena e un piede.
<< Guarda, tieni solo conto che io fra un paio d’anni dovrei uscire.>>
In questa storia, raccontata in prima persona, Salim ci mostra le dinamiche tra i detenuti, detenuto – polizia penitenziaria, i problemi che sono all’ordine del giorno, gli abusi di potere della polizia penitenziaria, il sovraffollamento e ciò che ne comporta.
Questo romanzo è davvero ben fatto e scorrevole, le dinamiche e le situazioni che vengono raccontate e che si vogliono trasmettere al lettore non sono banali e vengono intervallate e, a parer mio, alleggerite da delle battute comiche e tipicamente toscane.
<< Si, anche noi chiamiamo così. Narghilè, viene da nargul, noce di cocco, perché in origine le pipe ad acqua si facevano bucando una noce di cocco e il fumo passava dall’acqua di cocco, si profumava di frutta e diventava fresco.>>
<< E anche ora ci mettono la frutta?>>
<<Certo. Mela, fragola, menta.>>
<<La menta non è frutta.>>
<<Te invece sei un rompicoglioni. Statti zitto e fallo parlare.>>
Salim, nella quotidianità del suo carcere dove il tempo viene scandito dall’ora d’aria, oltre a conoscere le persone ed i suoi compagni di cella, entra in contatto con la burocrazia del luogo (dove esistono le “domandine” e a seconda di come sono formulate possono darti un esito piuttosto che un altro) e con persone che in modo non del tutto chiaro riescono a farti procurare della merce non autorizzata.
Ad un certo punto della sua permanenza a Salim capita qualcosa, che lo costringerà a fare una scelta molto rischiosa.
Carcerato è una condizione transitoria. Lunga, a volte senza fine, ma di natura transitoria. Prima o poi passa, e ti ritrovi ex detenuto. Ed ex detenuto lo rimani a vita, la realtà delle cose è quella. Non passa mai, non se ne va mai. Un marchio a fuoco, un tatuaggio che non ti puoi togliere e che difficilmente fa una buona impressione. A meno che tu non voglia rimanere nel giro.
Da questo libro scritto a quattro mani, si impara molte cose. Una di queste è che la vita carceraria non è come viene sempre descritta da noi (ovvero: “Buon per loro che non fanno niente, serviti e riveriti, davanti alla tv, non pagano nulla e non hanno nessun obbligo”, ecc. ecc. Chi non ha mai sentito o pensato questo?), è una vita dura; E’ un luogo dove il tempo raddoppia e dove, purtroppo, non c’è più comprensione o umanità. Con questo non sto dicendo che meritano di stare fuori per il crimine che hanno commesso, dico solamente che deve esserci una dignità, un impegno da parte nostra verso l’altro che può sempre migliorare e cambiare la propria condizione se c’è qualcuno che è disposto a crederci.
<< Te lo dico io perché >> continuò Salim. << Perché sono adulto, come loro. E quindi, sono convinti che io non possa imparare, e migliorare, perché sono loro che hanno smesso di imparare, e migliorare. Credono che io sia come loro. Sei adulto, sei grande, non hai niente da imparare. E io credo che se uno è convinto che non ha niente da imparare… insomma, è il modo di pensare degli stupidi.>>
Glay, in “Vento in scatola” racconta la sua giustizia e la sua ingiustizia: la giustizia di scontare una pena di cui è colpevole e della quale non chiede commiserazione o pena; la sua ingiustizia è quella di essere in un sistema che non rispetta le regole di dignità di una persona e che non crede che per lui ci sia possibilità di cambiamento.
Perché “Avere difronte un detenuto, è come avere davanti uno specchio”.
Che questo “carcere” che ci è stato imposto per la nostra sicurezza, ci serva poi per evadere davvero, per apprezzare appieno la nostra libertà.
Buona lettura a tutti!
Rachele.
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