LA DEMOCRAZIA DEI VIROLOGI OSSIA SCIENZA E POLITICA
Come tutti gli italiani sono “chiuso” in casa da circa un mese. Sono una persona obbediente e paziente, seguo le regole dei vari decreti ministeriali, mi affaccio ogni tanto sul terrazzo per prendere un po’ di sole di questa incipiente primavera o per sentire la musica (regolarmente alle ore 18) di un gruppetto di ragazzi volonterosi e appassionati suona per qualche decina di minuti. Leggo, studio, scrivo, faccio lezioni online. Un cittadino esemplare e anche un paziente esemplare perché solitamente seguo, come parola di Cristo, quello che mi dice il mio medico anche per un minimo malanno.
Però in questo stress in cui non distingui quasi più il giorno dalla notte (e mangi a giornate intere) , non facendomi prendere dalla psicosi di massa che sta attraversando il paese, continuo a pensare. Tanto è l’unica cosa che si può fare. Pur in questo isolamento mi viene da pensare in termini , politici, proprio intesi come comunità (d’altra parte sono abituato a pensare così, mi viene naturale) E ogni tanto, come direbbe il commissario Montalbano, mi vengono “pensieri tinti”.
Stiamo, infatti, vivendo un periodo particolare, di emergenza, una sorta di “democrazia dei virologi”(con tutto il rispetto per i virologi): ogni sera in TV c’è (oltre al capo della Protezione civile, un tecnico di livello) il virologo di turno (o un’autorità sanitaria che fa le veci del virologo) che parla alla nazione. Attenzione l’emergenza lo richiede, scienza e coscienza, ma manca visivamente la parte politica. E’ il virologo che ci parla, che parla alla nazione. Con discorsi giustamente oggettivi e calibrati, perché è il loro compito, ma che necessariamente includono, anche senza volerlo, profonde implicazioni socio-economiche. Tralascio i vari virologi (alcuni neanche virologi) che infestano i talk show televisivi e pubblicano instant book sulla crisi epidemica, pronti a cambiare opinione ogni mese.
Tuttavia mi sono sentito rinascere nel 1870 ai tempi dello scientismo positivista ,con lo scienziato con barba e cappello a cilindro e le certezze della scienza di un futuro ottimista e positivo,ma soprattutto controllabile dagli scienziati, che allora si scontrò sui capi di battaglia della prima guerra mondiale.
E mi è venuto in mente fra le mie letture (di quando ancora mi occupavo di qualche tema storico- scientifico ) di un articolo del 1972 del grande fisico americano Alvin Weinberg su scienza e trans -scienza (come la definiva lui) . Weinberg parlava di trans – scienza come una zona grigia fra scienza e politica dove si possono trovare le domande “che possono essere poste alla scienza ma alle quali la scienza non può dare risposta” . La scienza rimaneva il punto di riferimento indispensabile , ma occorreva la responsabilità sociale dello scienziato che non vive sotto una campana di vetro, ma è cittadino fra i cittadini e quindi deve agire socialmente. E quindi entrava in scena la politica per dare quelle risposte a cui la scienza non poteva o non sapeva rispondere.
Ecco quindi che si può parlare di scienza e società e di politica che deve prendere le sue decisioni, soprattutto per quanto riguarda la bio sicurezza ascoltando assolutamente anche la scienza (lasciamo stare i vari Trump e Bolsonaro, per piacere) . Quindi i percorsi vanno valutati e decisi dalla politica , altrimenti potemmo votare la prossima volta il nostro virologo preferito, e per far questo occorre creare un’opinione pubblica consapevole e non una massa impaurita sotto psicosi continua . E quando un problema simile entra nell’agenda politica di una democrazia che si rispetti e non in una scorciatoia autoritaria alla Orban, si apre una serie di discussioni fra i vari soggetti sociali ed economici, perché i vari soggetti sono portatori di istanze di ciò che è tollerabile o meno. Così i una democrazia rappresentativa la decisione spetta al potere politico in tutti i sensi, senza scorciatoie ossia sta alla politica gestire la complessità.
Ora, variabile indipendente ma non siamo soli nel mondo in questa situazione, questo avviene quando in Italia abbiamo una sostanziale debolezza della politica sia nella maggioranza che nell’opposizione . Quando, con tutto il rispetto per la fede, sento dire da un ex ministro della paura che la scienza non basta, che occorre ricorrere alla preghiera di massa devo dire che mi cascano le braccia.
Saremo ad una svolta quando la politica riconoscerà quanto i tagli selvaggi alla sanità portati dal neoliberismo di destra e di una presunta sinistra abbiano danneggiato la struttura sociale dei paesi europei (con differenze notevoli fra di loro come i 5000 posti di terapia intensiva presenti in Italia contro i 28.000 della Germania) e non dimentichiamo, come variabile indipendente italiana, gli scandali nel sistema sanitario come quelli che pochi anni fa coinvolsero la giunta regionale lombarda, ad iniziare dal suo presidente e i cui effetti si vedono ancora oggi.
Ci sarà un punto X in cui il virus e le misure di isolamento si separeranno, il momento in cui non basterà più dire “state in casa” e non perché il virus sparirà , ma perché il rischio sociale di bloccare una popolazione di 60 milioni di persone in uno Stato avanzato sarà superiore dei dati di mortalità del virus rivisti ed analizzati a freddo dall’Istituto Superiore di Sanità (la sola vera autorità che deve analizzare e stabilire la causalità dei decessi nel tempo) : E qui, aldilà della loro responsabilità sociale, i virologi ritorneranno a fare i virologi, sempre pronti come cittadini a mettersi al servizio della comunità; i politici saranno soli a decidere, a mettere in campo quei processi partecipativi complessi che costituiscono una democrazia degna di essere vissuta . A quel punto si vedrà di fronte ad una scelta non imposta , solo a quel punto , il vero senso civile e civico dei cittadini.
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