Una pandemia nella pandemia; una paura vestita di ansia. In questo lungo periodo di isolamento sociale, dovuto al Sars-CoV-2, erano prevedibili disordini psicologici di massa, a breve o a lungo termine. Insonnia, irritabilità, ansia e depressione, un cocktail di disordini mentali che rendono difficile un approccio più sereno alla quotidianità.
Secondo un’indagine condotta dall’Istituto Pepoli e commissionato dall’Ordine Nazionale degli Psicologi, circa il 63% degli italiani soffre di un disturbo di natura mentale legato allo stress dell’incognito e alla paura per sé ed i propri cari. Una vera e propria nuova forma di ipocondria collettiva. Queste percentuali sono state diffuse da grandi testate giornalistiche, mettendo ulteriormente in allarme persone e istituzioni, arrivando a definire questi numeri come “un ulteriore conto salato da pagare a fine pandemia”.
Eppure lo stress quotidiano, la perdita di persone care, la distanza dalle persone amate e la paura dell’incognito, sono dinamiche che esistono da sempre e che continueranno a perpetuarsi nel tempo, indipendentemente dalla pandemia. Non vi è mai stata certezza sul futuro, la vita cambia continuamente e in modo inaspettato, senza mai chiedere il permesso.
Quindi come mai ci sentiamo così? Bloccati, tristi, fobici, insonni?
La chiave di volta è rappresentata dall’isolamento sociale generale e le risposte emotive individuali.
Esperimenti di laboratorio, condotti anni fa su esemplari di Mus Musculus (topi), dimostravano che l’isolamento totale e forzato dei roditori, portavano a malattia e, in alcuni casi, alla morte delle cavie. Okay, siamo essere umani, ma il punto è un altro: il contatto interpersonale è alla base della vita di miliardi e miliardi di esseri viventi su questo pianeta. E a noi manca. Per mesi siamo usciti solo per fare la spesa, per visite mediche urgenti, sul nostro balcone o giardino cercando di assorbire ogni raggio solare possibile. Sono mancate i confronti e le chiacchere vis à vis; le arrabbiature per il traffico, per l’ultimo parcheggio rimasto. Una quotidianità ridotta a lunghe file ed assordanti silenzi.
Inevitabile avere delle ripercussioni sulla vita di tutti i giorni, ma non è la prima volta che il mondo si ritrova ad affrontare una situazione allarmante ad alto rischio. Gli attacchi all’antrace nel 2001, la SARS nel 2003, la pandemia di influenza H1N1 nel 2009, senza contare gli incidenti nucleari come quello di Fukushima nel 2011. Eventi diversissimi tra loro che hanno però perturbato i naturali equilibri sociali. Eventi causati da agenti invisibili, incomprensibili.
Titoli ed immagini sensazionali tra televisione e social media, hanno aumentato ansia e paura in tutti questi casi, favorendo notizie inconcludenti, mentre le persone, confuse, riempivano l’assenza di informazioni con voci di corridoio. Uno schema che si ripete nella storia. Facile cadere in preda ad insonnia ed ansia.
Studi specifici su ogni tipo di situazione ad alto rischio affrontata a livello mondiale, hanno portato alle solite conclusioni generali (Shigemura et al., 2020).
Ad esempio, gli studi sugli attacchi all’antrace negli Stati Uniti, hanno mostrato conseguenze psicologiche a lungo termine per la salute mentale di impiegati ed infetti, nonché una percezione della salute individuale ridotta. La restante fetta di popolazione invece ha manifestato insonnia, ansia, depressione e paura. Paura tramutata in discriminazione, stigmatizzazione, costruendo capri espiatori su specifiche popolazioni, autorità e scienziati. Le stesse conclusioni sono state raggiunte dagli studi condotti in Giappone, in seguito alla pandemia di influenza H1N1 e all’incidente nucleare di Fukushima: paura pubblica e percezione del rischio e della salute distorta.
Inoltre, le risposte emotive delle persone non includevano solamente problemi di natura mentale, ma è stato evidenziato un aumento dei comportamenti a rischio per la salute, come l’abuso di alcol e tabacco, i quali sono cofattori dell’insonnia e amplificatori dell’emotività.
Non so a voi, ma a me tutti questi risultati ricordano qualcosa. Ricordano esattamente il nostro attuale periodo storico. Studi che avevano già alcune delle risposte su come la situazione mentale della popolazione si sarebbe evoluta. Studi che potevano in qualche modo prevedere ed arginare le allarmanti percentuali registrate in Italia – e sicuramente nel resto del mondo.
Bisognava riconoscere prima l’entità dello stress psicologico associato alle emergenze causate da agenti impercettibili, dando un peso fondamentale all’integrità e ai diritti delle popolazioni vulnerabili e non.
Sbagliando si impara, e la storia dovrebbe insegnare a non ripetere gli stessi errori.
Avendo a disposizione tutto questo arsenale di articoli scientifici avremmo potuto evitare che il 63% degli italiani incorresse in disagi psicologici da manuale?
A voi la parola.