Tre mondi sospesi nel tempo e nello spazio
La mente si interessava, soprattutto, non di misure e collocazioni, ma di essere e significato. E con l’indifferenza per lo spazio venne una indifferenza ancora più completa per il tempo.
Aldous Huxley
Queste scale sono il nostro trono: parlano la lingua che parliamo noi.
Sfera Ebbasta
È il primo articolo del blog, quindi, come ogni prima volta, dovrebbe essere speciale (in realtà fa quasi sempre schifo, ma è bello sognare).
Penso sia necessario fare delle premesse: queste non sono, e non vogliono essere delle recensioni. Vi proporrò tre opere che, a parer mio, sono collegate da un fil rouge invisibile, il quale mi ha dato modo di sondare queste opere a fondo, in modo che si scoprissero a vicenda. Forse, anzi, di sicuro è tutto nella mia testa, ma, autocitandomi dopo nemmeno cinque righe, è bello sognare. Questa sorta di percorso che intraprenderò sarà completamente SPOILER FREE: mi limiterò a comunicarvi, o almeno ci proverò, le suggestioni che mi hanno trasmesso queste storie, e come il basso continuo di tutte e tre possa esser declinato in maniera diversa a seconda del tono, del genere, e del medium di riferimento.
Queste tre storie convergono nell’ambientazione, intesa come peculiare definizione spazio temporale: cosa accomuna Procida, l’isola in cui si svolge l’epopea del giovane Arturo, la periferia romana semi post-apocalittica di Dogman e la località balneare di Barcazza? Niente.
O quasi.
Tutti i personaggi e le vicende a loro connesse appaiono sospese in una bolla temporale, che non viene minimamente scalfita dalla realtà contingente e/o da fattori esterni a quello stesso nucleo. In un incontro all’Università di Pisa, Ugo Chiti, uno degli sceneggiatori di Dogman, raccontò di aver più volte cambiato idea sul genere di storia che stava raccontando. Inizialmente aveva in testa, almeno per quanto riguarda l’ambientazione, un western, poi gli sembrò che questa virasse sulla fantascienza distopica, ma alla fine, anche lui, si è dovuto arrendere alla definizione che ci interessa: si era reso conto di aver creato un non-luogo.
Trovo affascinante che, uno degli stessi creatori dell’opera, abbia così difficoltà nell’incanalare, attraverso un genere codificato, la sua creazione. E questa difficoltà di attribuzione non fa altro che confermare ciò che dicevamo poco fa: i confini spazio – temporali sfumano sempre di più.
In aggiunta, non ci stupisce che ogni microcosmo che si viene a creare sia così ben strutturato e caratterizzato in ogni suo minimo dettaglio: i comportamenti dei personaggi, seppur in un’ambientazione liminale, sono personali ed autentici. Sono mondi fatti di quotidianità, e di riti ormai consolidati nel tempo, che contribuiscono a definire il carattere dei nostri eroi e dell’ambientazione stessa.
Arturo assume le sembianze di un moderno Don Chisciotte, arrivando a mediare la realtà circostante grazie alle sue letture. In Dogman, c’è una ricerca morbosa per la quotidianità di Marcello, il protagonista. Dal lavoro di toelettatore nella sua bottega, ai pranzi con gli amici, fino alle serate trascorse a giocare alle slot. Barcazza, invece, ci presenta una realtà incestuosa, ma quest’impulso non trova sfogo, com’è consuetudine, nell’atto in sé, ma si risolve negli sguardi e nei silenzi dei personaggi che animano la scena. In questi universi, la rottura della quotidianità che impariamo a conoscere avviene a causa dell’ingresso di un personaggio che è estraneo a quel mondo, o semplicemente avvertito come tale, e che, inconsapevolmente o no, viola tutte le leggi non scritte sulle quali quel microcosmo si basa.
Facendo marcia indietro, e tornando alle citazioni introduttive: che ci fanno Sferaebbasta e Huxley, uno di seguito all’altro? Nulla. O quasi (lo so, scusatemi: è più forte di me. Però è già da una pagina che non mi autocitavo; apprezzate l’impegno, per favore).
Mi piace un sacco far cozzare l’aulico ed il prosaico (riprendendo una fortunata formula di Montale), e far notare come certi bisogni, certi desideri e certe necessità, anche “solamente” narrative, puramente fittizie, siano trasversali alle rispettive culture, generi e supporti di fruizione.
Che poi, siamo realmente capaci di distinguere tra l’autentico ed il fittizio, tra la realtà ed il sogno? Quante volte, da bambini, ci siamo arrabbiati con un nostro amichetto perché irrompeva nei nostri giochi, apportandogli delle modifiche? Era un estraneo pronto a violare le regole del nostro mondo con la sua visione della realtà, frantumando lo schema che ci eravamo prefissati.
Il piroscafo era già là, in attesa. E al guardarlo, io sentii tutta la stranezza della mia tramontata infanzia. Aver veduto tante volte quel battello attraccare e salpare, e mai essermi imbarcato per il viaggio! Come se quella, per me, non fosse stata una povera navicella di linea, una specie di tranvai; ma una larva scostante e inaccessibile, destinata a chi sa quali ghiacciai e deserti!
Spero che questa breve chiacchierata sia stata piacevole, e vi abbia incuriosito a recuperare le opere di cui abbiamo, seppur per poco, parlato. Mi auguro che anche voi possiate perdervi, o ritrovarvi, in uno di questi mondi sospesi nel tempo e nello spazio.
Lascio qui, in chiusura, i dettagli: allegherò i link Amazon per chi fosse impossibilitato, in questa fase, a raggiungere la libreria più vicina.