“Torno ad Arcana a quattro anni dall’uscita di Rock’n’Roll Noir. Là scrivevo dell’esclusivo e maledetto Club 27 e dei suoi sette membri più celebri e prestigiosi, sette numeri uno: il leggendario bluesman Robert Johnson, il polistrumentista e fondatore dei Rolling Stones Brian Jones, il più grande chitarrista di tutti i tempi, Mr Jimi Hendrix, l’indimenticabile e ineguagliabile Janis Joplin, l’affascinante Jim Morrison – una delle figure più iconiche e seduttive nella storia della musica –, l’artista più rappresentativo degli anni Novanta, ossia il tormentato Kurt Cobain, e la tanto talentuosa quanto fragile Amy Winehouse. Anche questo libro che tenete in mano (il mio settimo, neanche a farlo apposta) è dedicato a un ipotetico circolo e pure qui i membri sono sette, non legati da un numero particolare ma piuttosto dallo squilibrio, dalla sproporzione tra talento e fortuna. Tutti quanti italiani, sette fulgide stelle della nostra canzone: Fred Buscaglione, Piero Ciampi, Luigi Tenco, Gabriella Ferri, Franco Califano, Mia Martini, Rino Gaetano. E anche in questo circolo di dannati italici vi sono cinque uomini e due donne, proporzione che corrisponde più o meno a quella che si ritrova nel mondo della musica, ennesimo territorio conquistato e monopolizzato a lungo dai maschi. E pure in questo caso, scrivere questa nostra Spoon River dei precursori e dei dimenticati della canzone, spesso snobbati o persino emarginati in vita, che hanno ottenuto postuma ragione soltanto per interposta persona, è prima di tutto un atto dovuto, un doveroso omaggio, oltre che un invito alla riscoperta e al riascolto. Chissà se esiste davvero il destino già scritto; il loro è stato alterno e capriccioso, spesso drammatico, segnato da un male, una fatica di vivere comune però a tanti altri grandi talenti nella storia della musica mondiale, partendo da fine Seicento con la breve esistenza del compositore inglese Henry Purcell fino ad arrivare alla Winehouse, appunto. Una sorta di contrappasso, di sacrificio che l’arte spesso tributa alla vita. A farne le spese è soprattutto chi non è incline ai compromessi, chi ha l’anima pesante di visioni, chi vive e si nutre d’arte e di bellezza e fatica a trovare la propria dimensione nella talvolta grigia banalità del quotidiano. Così rispose il carismatico leader dei Doors alla giornalista di «Circus» all’indomani delle morti misteriose di Hendrix e Janis Joplin: «La grande esplosione di energia creativa […] è […] dura da sostenere per gli artisti più sensibili. Probabilmente sono insoddisfatti, si accontentano solo del massimo. Quando la realtà smette di assecondare le loro visioni interiori, si deprimono». È specialmente in gennaio / che annaffiamo queste croci, cantava Massimo Bubola, ed è curioso notare che i grandi della nostra canzone ci hanno lasciato soprattutto nel gelo d’inizio anno: Fabrizio De André (11 gennaio 1999), Giorgio Gaber (1° gennaio 2003), ma anche Luigi Tenco che, ventottenne, si spara in testa durante il diciassettesimo Festival di Sanremo – il 27 gennaio del 1967 (e il numero 7 continua a ricorrere nelle storie “maledette”…) – e il livornese Piero Ciampi, che si spegne a Roma il 19 gennaio del 1980, a 45 anni, mentre Franco Fanigliulo scompare alla stessa età per “un ictus cerebrale” (come cantava in modo tristemente profetico in una delle sue canzoni più conosciute), il 12 gennaio 1989. Fred Buscaglione muore a inizio febbraio del 1960 a 38 anni in seguito a un terribile incidente stradale a Roma, proprio come succederà vent’anni dopo a Rino Gaetano, a soli trent’anni (e anche lui canterà la propria morte come in una profezia). Il cadavere della quarantasettenne Mia Martini viene rinvenuto nella sua nuova casa di Cardano al Campo, in provincia di Varese, nel 1995, e anche l’amica e collega Gabriella Ferri nove anni dopo vola giù dalla finestra (come accadrà al geniale e misconosciuto cantautore Lucio Quarantotto) della casa di campagna di Corchiano (Viterbo), in cui si era ritirata: entrambe soffrivano di depressione. Il grande Califano si spegne ad Acilia (Roma) nel 2013, al termine di una vita lunga e gloriosa ma difficile, travagliata, dopo un enorme successo trasversale – con il pubblico, con le donne, con i giovani – tanto meritato quanto invidiato e osteggiato. Dunque l’arco temporale di questa ricognizione va dagli anni Cinquanta agli inizi del nuovo millennio, dai brani di Fred Buscaglione agli ultimi album di Califano e ai grandi successi di Vasco Rossi che vedono l’apporto di Massimo Riva (fedele amico e complice scomparso prematuramente), ma si concentra sui decenni d’oro della nostra canzone, soprattutto sui ricchissimi, splendidi e irripetibili anni Settanta. Si dice che tutte le strade portino a Roma, ed evidentemente quelle della musica non fanno eccezione. Si parte dalla Torino di Buscaglione, si passa dalla Livorno di Ciampi e dalla Liguria di Tenco, ma la Capitale è il luogo d’arrivo e dell’anima anche di questo volume, la Città indiscussa e imprescindibile: è tra le accoglienti e antiche braccia dell’Urbe che si rifugiano in cerca di riscatto e fortuna i due calabresi Salvatore Gaetano e Domenica Bertè, detta Mimì (e anche Dalida è figlia di emigrati calabresi); è qui, nella città più bella del mondo (e detto da una fiorentina vale doppio), che nasce la gloriosa carriera del piemontese Ferdinando Buscaglione; è questa la città amata e cantata da un romano d’adozione, Francesco Califano, e ancor più dalla testaccina Gabriella Ferri, verace romana de Roma, così come Stefano Rosso; è la Città Eterna la meta vera o presunta degli infiniti pellegrinaggi del livornese Piero Ciampi; è qui che il ligure Tenco si trasferisce dopo il congedo militare e firma per la Rca. E, ciò nonostante, in ognuno di loro è evidente l’attaccamento alle propria terra, alle proprie radici, l’importanza rivestita dal quartiere, dal rione, dalla borgata, non solo di Roma, ma come microcosmo popolare da cui attingere materiale per le proprie canzoni. Sette pezzi unici, inimitabili, tutti loro incideranno in maniera indelebile sulla storia della nostra canzone nonostante la vita breve, la novità del loro linguaggio e del loro messaggio, malgrado i mille insuccessi, i pettegolezzi e le malelingue, a dispetto dei tormenti e i fantasmi proiettati sul pentagramma da sensibilità acute e profonde, non di rado visionarie o profetiche, oltre che poetiche. Insomma, nonostante quel lato umano e artistico che con una parola accattivante liquidiamo come “maledetto”, ossia colpito da dannazione, da destino infausto o da perdizione, anche ricercata. Sì, perché anche qui, come nel club dei 27, alcol, droghe e psicofarmaci la fanno da padrone, in una ricerca affannosa di lenire lo scontro con l’esistenza, spesso vissuta con profondo disagio: fin dall’infanzia e dai rapporti turbolenti con i genitori, soprattutto i padri, molto spesso assenti, altre volte invadenti. Basta pensare alle mancanze patite in questo senso da Tenco, orfano di un padre mai conosciuto, da Ciampi, senza una madre, all’infanzia trascorsa in collegio del Califfo (anch’egli orfano di padre), e di Rino Gaetano e ai rapporti controversi con la figura paterna che hanno segnato la vita di Mia Martini e quella di Gabriella Ferri. Di abuso di droga ne hanno fatte le spese fino a morirne Mia Martini e il succitato Massimo Riva, mentre Ciampi all’amato vino ha sacrificato la propria vita e carriera, come – in maniera diversa, meno assoluta – ha fatto il Califfo con la cocaina. Vite sofferte, ma vissute sempre e comunque al massimo, nonostante il buio e la confusione dentro e fuori di loro. E nonostante tutto, gli ostacoli, la vita breve, la fortuna alterna, le disavventure, i nostri sono cantautori a cui – per dirla con le parole che Faber scelse per Piero Ciampi – bisogna pagar pegno, che hanno creato e rivoluzionato il concetto stesso di canzone d’autore in Italia; artisti esemplari ma interrotti, grandi innovatori che hanno dato vita a nuovi stili e poetiche, che spesso hanno corso tanto avanti che il pubblico e la critica li hanno raggiunti soltanto molto tempo dopo, quando ormai erano stati braccati dalla morte. Ma in vita sono stati accompagnati e aiutati da valenti amici, autori, produttori, discografici, collaboratori anch’essi troppo spesso ingiustamente ignorati o dimenticati, eppure decisivi, sia nella produzione che nella diffusione della nostra illustre canzone d’autore: penso a Leo Chiosso e a Gino Latilla per Buscaglione, al produttore romano Gianni Marchetti per Ciampi e a Gian Franco Reverberi anche per Tenco, a Carlo Alberto Rossi, Alberigo Crocetta, Giovanni Sanjust e Lucio Salvini per Mia Martini, a Edoardo Vianello per Califano, per Rino Gaetano a Marcello Casco, Antonello Venditti, Nicola Di Bari e Vincenzo Micocci della It (e quest’ultimo è stato un produttore tanto lungimirante e prolifico da meritare una canzone entrata nel nostro immaginario collettivo – niente affatto celebrativa, ma tant’è). E poi celebri e provvidenziali deus ex machina come Gino Paoli, Bruno Lauzi, Enzo Jannacci, Fabrizio De André – ancora – ma anche Lucio Dalla, Vasco Rossi, Renzo Arbore, Caterina Caselli, Franco Battiato e molti altri straordinari mentori. Eppure i nostri magnifici (anti)eroi hanno dovuto combattere anche contro grandi nemici, fuori e dentro di sé; hanno dovuto superare alti ostacoli, spesso nel mondo che avevano scelto, quello della musica e dello spettacolo, fatto anche di invidie, pettegolezzi e stupide calunnie, ma anche in una società spesso ottusa e ostile, oppure nella legge che ha tenuto in prigione Mia Martini quattro mesi per mezzo spinello o che ha ingiustamente e più volte incarcerato Califano con accuse infamanti. Ma le loro esistenze e carriere, senza rimpianti né compromessi, sono state ugualmente gloriose. Ringrazio di cuore Michele Manzotti, Enrico de Angelis, Elisabetta Malantrucco, Antonio Gaudino, Paolo Redaelli, Federico Guglielmi, Bianca Giovannini e Arturo Stalteri per avermi aiutato a raccontarle a tutto tondo. Questo volume è un omaggio all’arte pura e intransigente ed è dedicato non solo a tutti noi appassionati, musicofili e nostalgici, eterni innamorati di storie e canzoni, ma anche alle nuove generazioni, poiché la conoscenza dei grandi maestri, degli innovatori, di chi ha precorso i propri tempi lasciando dietro di sé tracce profonde e indelebili, non può far altro che arricchirle. Sempre e per sempre”.
Tratto da: “La morte mi fa ridere, la vita no” (Arcana, 2020).
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