Franca Valeri: cent’anni di Cultura. L’omaggio di Lella Costa con La Vedova Socrate
31 luglio 1920 – 31 luglio 2020: Franca Valeri compie cent’anni. Attrice, sceneggiatrice di teatro e di cinema, maestra di ironia. Una vita che a guardarci dentro rivela tutte le pieghe della storia d’Italia, che si muove attraverso stagioni tragiche e drammatiche ma anche anni ruggenti e roboanti. L’epopea di una donna che ha sempre rifuggito ruoli prestabiliti e che ha scelto – rinnovando più volte tale presa di posizione – di essere se stessa. Una rivendicazione che comincia dal nome. All’anagrafe Franca Maria Norsa, il cognome d’arte lo assume in tributo al poeta e filosofo Paul Valéry.
Una donna lucida e pungente che, per certi versi, assomiglia molto a quella Vedova Socrate che Lella Costa sta portando in questo momento nei teatri di tutta Italia, per celebrare la grandezza della sua madrina. Dopo il debutto al teatro greco di Siracusa, la tappa al Teatro Romano di Fiesole (dove ho avuto il piacere di vedere la commedia), stasera sarà in scena al chiostro del Piccolo di Milano. La città natale che la Valeri e la Costa condividono.
La Vedova Socrate
Il testo, scritto e interpretato da Franca Valeri a partire dal 2003, è liberamente tratto dall’opera Der tod des Sokrates (La morte di Socrate) di Friedrich Dürrenmatt. La regia è di Stefania Bonfadelli, figlia adottiva della Valeri.
La storia è quella di Santippe, moglie di Socrate, tramandata ai posteri da Senofonte e Diogene Laerzio come una donna insopportabile e bisbetica. Fiera proprietaria di una bottega di antiquariato ed oggettistica – che rifornisce grazie alle tendenze cleptomani del marito –, Santippe si lascia andare ad un monologo in cui si sfoga per ciò che ha dovuto passare per mano di Socrate e dei suoi “giovani”. Un concentrato di dissacrante ironia, riflessioni caustiche e pungenti che si adattano ad ogni tempo. Il tutto, muovendosi sulla china di un femminismo che mai indulge a posizioni compiacenti, innesco di applausi facili.
Costa, nonostante il peso di un passaggio di testimone di tale portata, non è caduta nell’emulazione, emancipandosi dal personaggio già interpretato dalla Valeri e facendolo suo.
Un’istantanea dell’antica Grecia
Nell’arco di tutto lo spettacolo, si assiste alla parata di personaggi i cui nomi risuonano da sempre nella cultura popolare. Nomi che tuttavia sentiamo lontani, e che pochi di noi – nemmeno gli addetti ai lavori – riescono a rendere plastici in volti, forme, aspetti, atteggiamenti. A fare da tramite tra spazi e tempi lontani ci pensano la drammaturgia della Valeri e l’interpretazione della Costa, costruendo un immaginario appena tratteggiato ma più vivo che mai.
E così, Platone (bersaglio polemico fisso per Santippe) diventa un intellettuale cattedratico e grafomane, prolisso e nasale, probabilmente colpito da adenoidi incipienti. Il guerriero Alcibiade, dalla sessualità decisamente fluida, sempre più dipendente (non solo intellettualmente) del maestro Socrate, il cui “possesso” esclusivo contende con il “rivale” Agatone. Aristofane, inossidabile narcisista, pronto a sacrificare la sua stessa vita in nome di un ultimo, inebriante, afflato di successo. Il tiranno siracusano Dionigi il Vecchio, una sorta di malavitoso dai proferimenti inesorabili e laconici, l’unico che una volta riuscì a zittire Socrate.
Il valore dei classici
Lo spettacolo, proprio perché si fa godere per la sua freschezza – benché racconti “gossip” e retroscena vecchi di 2500 anni – mi ha offerto il pretesto per riflettere sul valore dei classici.
Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire,
diceva Calvino riferendosi all’ambito letterario. Allargando il campo agli altri modi e forme dell’arte, credo che la squisita inattualità dei classici non necessiti di essere attualizzata, di strizzare l’occhio al tempo della loro fruizione. Di essere cool a tutti i costi, accattivandosi il pubblico con qualche straniante anacronismo o inutili parodie. Come una lama che non perde mai il filo, un classico non ha certo bisogno che gli si dica come e dove assestare un buon colpo ai danni della “falsa coscienza” del contemporaneo. Un classico sa portare a termine il lavoro benissimo da solo.
Da qui anche il ruolo delle istituzioni deputate a rappresentare i fari tutelari del senso, depositarie di un patrimonio di valori e conoscenze. Patrimonio sulle cui spalle la nostra civiltà dondola da quando era bambina. Teatri, musei, biblioteche, con le loro produzioni e collezioni, dovrebbero sì arrivare al maggior numero di persone possibile, ma senza mai perdere di vista l’etica e la responsabilità insite nel raccontare, l’esistenza di una soglia critica sotto la quale non si dovrebbe mai scendere. Comunicare significa trasmettere visioni, narrazioni, idee, progetti, e non fare vetrina o diventare “popolari” (nel senso deteriore del termine), livellando ferocemente la complessità del reale per fare grandi numeri. Così, non solo si rischia di perdere coscienza della ricchezza e dell’alterità del passato. In ballo, c’è anche la costruzione di un’identità democratica ed intellettualmente autonoma. E questo la Valeri lo sa bene.
Buon compleanno, Franca Valeri.
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