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Identità e scambi culturali: le tomaselle lunigianesi

Identità e scambi culturali: le tomaselle lunigianesi

Presentazione

Mari tempestosi, abbondanti piogge e venti impetuosi. In questo prepotente inizio d’autunno, che ci ha colti assai impreparati, mi è particolarmente proficuo approfondire gli aspetti dell’antropologia alimentare, intesa come elemento storico e socio-culturale di territori ed aree geografiche specifiche; aspetti che assumono però una impronta fortemente “trasversale” a tutta la penisola italiana. Identità e scambio: questi sono i concetti cardine delle opere di Massimo Montanari, saggista, docente di Storia e Cultura dell’Alimentazione presso l’Università di Bologna.

Ogni regione italiana possiede certamente una sua specificità zonale per quanto concerne la tradizione gastronomica, ma il valore dell’identita territoriale è grandemente accompagnato dal concetto di “scambio”, ricchezza aggiunta, nella misura in cui certi ingredienti, certe preparazioni, certe modalità di cottura, certi saperi e “vissuti” (unitamente alle vicende storiche) sono palesemente similari a vastissimi territori. In questo senso si definisce il concetto di “cucina italiana”: identitaria ed interregionale.

Gli esempi possono essere mille e mille. Ho approfittato di questo venerdì per tornare nuovamente, manco a farlo apposta, in quel lembo dell’alta Toscana dove questo concetto di “intersecazione” si riversa ampiamente anche su ciò che possiamo trovare a tavola. Le tomaselle lunigianesi ne sono un esempio lampante.

Liguria e Toscana (quindi due territori distinti ma allo stesso tempo cugini) si sposano nel piatto per un secondo di carne assai invitante e succulento. Questi involtini, con alcune varianti, vengono preparati anche nel Genovese, dove prendono il nome di “tomaxelle”; in questo caso protagonista indiscussa è la fesa di vitello (ma non solo): una ricetta dalla forte impronta contadina, dove il “non buttare via mai nulla” era ovviamente il must per molti; una corposa farcia di lessi avanzati del giorno prima, arrosti, bietola e funghi, il tutto tritato ed amalgamato con copioso formaggio e uova.

Una delizia per i palati dei soldati austriaci che assediarono Genova nel 1800, almeno così narra la leggenda.

Ed ecco palesarsi il concetto di “scambio”: nella nostra Toscana del nord le fettine di maiale (arista) sostituiscono il vitello, una cottura alle volte non eseguita in bianco accompagna un ripieno di polpa di maiale, imbellito da un trito abbondante di salvia, maggiorana, timo con l’aggiunta di copiosa noce moscata.

“Il senso di identità, di appartenenza, si definisce anche (o forse soprattutto) in rapporto agli altri, nello scambio degli elementi in comune.”

La ricetta

TOMASELLE LUNIGIANESI, per 4:

Rosolare velocemente la polpa di maiale macinato in poco burro ed olio, tagliuzzarla finemente e disporla in una terrina; aggiungere ed amalgamare del lardo di Colonnata ridotto a striscioline, le uova, il formaggio, la noce moscata, salvia, timo e maggiorana tritati (o essiccati); salare e pepare. Stendere le fettine di maiale su un tagliere e riempire con la farcia, arrotolare e chiudere i lati con degli stecchini da denti, salare e pepare. In una padella assai larga imbiondire un trito di mezza cipolla bionda e lardo di Colonnata in olio e burro (imbellire con eventuale farcia avanzata), adagiare la carne facendo evaporare a fiamma viva il vino bianco, abbassare il fuoco versando del brodo precedentemente preparato.

Proseguire coperchiato per circa 30 minuti girando gli involtini tre o quattro volte. Servire subito.

 

 

 

 

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