Tomás Saraceno a Firenze. Il suo sentiero dei nidi di ragno passa anche per Palazzo Strozzi
Un mondo in relazione
Tra i tanti lasciti drammatici della pandemia globale che ha cambiato le nostre vite, forse c’è una lezione di cui dovremmo conservare scrupolosamente gli appunti. La costrizione all’isolamento ci ha infatti risvegliati da un torpore che illanguidiva da troppo tempo. I fumi lisergici di un individualismo ormai giunto al parossismo – foraggiato instancabilmente da un capitalismo sempre più pervasivo e solerte – ci illudevano di essere al centro del mondo. Un mondo in cui tutto ci spettava di diritto e di cui pensavamo di disporre a nostro piacimento.
Un mondo che, una volta diradate le nebbie allucinogene che tanto dolcemente ci cullavano, non si è rivelato che la proiezione narcisistica del nostro io più sterile e velleitario.
Scoppiata la bolla, ci siamo accorti di vivere in un mondo la cui natura è profondamente relazionale, intessuto da una rete di intricate connessioni in cui in ogni nodo riecheggiano le fluttuazioni degli altri.
Il rapporto con l’alterità
Abbiamo imparato a nostre spese che nessuno può salvarsi da solo, che la salvezza di ognuno dipende non solo da ciò che facciamo noi, ma anche da come si comportano gli altri. Gli altri. Questa era la variabile che sfuggiva da troppo tempo e che abbiamo dovuto prontamente inserire nell’equazione, rimodulando la nostra vita a partire da essa. E così la libertà non è apparsa più come un bene da possedere, ma come l’altra faccia della solidarietà. Un atto veramente libero diventa un atto che sa misurarsi con il peso delle proprie conseguenze.
E d’altronde, sarebbe bastato dare più ascolto alla scienza per scoprire che essa ha abolito dal proprio lessico le nozioni di oggetto e individuo molto tempo fa. La dicotomia soggetto-oggetto non ha più ragion d’essere: siamo solo uno dei molteplici aspetti tramite cui la natura esprime se stessa; non esiste alcuna separazione tra soggetto della conoscenza e natura. La fisica quantistica oggi rifugge un mondo fatto di sostanze, a cui sostituisce uno scenario costituito da relazioni che si riflettono tra loro alla stregua di un gioco di specchi senza fine.
Tomás Saraceno: Aria
La mostra, prorogata causa lockdown e visitabile fino al 1° novembre, comprende varie installazioni piazzate in un percorso espositivo che inizia dal cortile e prosegue nelle sale del primo piano. Sfere, ragnatele, poliedri a specchi in cui siamo portati a cercare e riconoscere il nostro riflesso. Tratto comune è l’invito a entrare in connessione con la realtà in un modo inedito, scoprendo di avere un impatto dirompente sul mondo a partire dalle piccole cose, e al contempo di costituire solo una parzialità più che trascurabile nel sistema Universo. A caratterizzare la mostra un approccio interdisciplinare – tra zoologia, ecologia, fisica, filosofia, musica –, che fa percepire la complessa rete che collega l’uomo sia alla dimensione dell’infinitamente piccolo che a quella dell’infinitamente grande.
L’Universo impigliato in una ragnatela
L’immagine della ragnatela risulta particolarmente efficace nel rappresentare la struttura dei nostri legami, le interazioni sociali, gli itinerari dei nostri spostamenti. Ma anche le cellule neuronali condividono la stessa architettura. Così come l’Universo, secondo i più recenti lavori di mappatura. E così, le complesse ragnatele tridimensionali di Saraceno – realizzate da una inusuale cooperazione tra artista e ragni – mostrano connessioni e intrecci che vanno al di là delle semplici e concrete strutture filamentose. Connessioni che insistono sulla relazione uomo-natura-cosmo, e che descrivono la realtà come unico vasto regno di interconnessioni.
Giardini volanti e “aerografie”
Nella prima, la protagonista è una peculiare specie di pianta – la Tillandsia (una pianta epifita, priva di radici) –, collocata su alcune sfere di vetro appese. Come città sospese tra le nuvole, ogni sfera rappresenta un perfetto ecosistema, il che ci insegna come la sopravvivenza dipenda dalla solidarietà, e non da atteggiamenti muscolari e dominatori.
Nella seconda, penne attaccate a palloncini trasparenti sospesi sono strumenti per far disegnare all’aria le sue traiettorie, rappresentando così il linguaggio potenziale dei fenomeni terreni. L’aria è infatti sollevata dai nostri movimenti, dai piccoli gesti inconsapevoli, dal calore, dai suoni. Sorprende come ogni cosa, anche la più impercettibile, lasci inesorabilmente una chiara e definita traccia.
Saraceno e Calvino
Il riferimento a Calvino nel titolo non è casuale. C’è tanto Calvino nell’immaginario di Saraceno, a partire da Il barone rampante a Il castello dei destini incrociati, passando per Le città invisibili. Potremmo dire che l’intera esposizione non è altro che la traduzione visiva di quel percorso letterario che Calvino retrospettivamente definisce come lavoro di sottrazione di peso, di perseguimento di un ideale di leggerezza. Leggerezza che passa anche per la riflessione su futuri immaginari e utopici, che allo stesso tempo si rivelano veri e attuali.
Usciti dalla mostra, si tratteggiano nella mente i contorni di una tra le città invisibili calviniane. Ottavia, la città-ragnatela appunto, la città sul vuoto, legata a due montagne scoscese con funi e catene e passerelle. E, per un attimo, siamo attraversati dalla stessa amara consapevolezza che si è infiltrata tra i suoi immaginari abitanti.
Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge.
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