La nostra top 10! – feat. Francesca Cullurà
Repetita iuvant.
Eh sì, abbiamo voluto farlo di nuovo. Sulla scia dell’articolo uscito la settimana scorsa nello spazio di Francesca, ci siamo detti: perché non replicare? Detto, fatto: eccoci qui!
Vi consiglieremo cinque opere letterarie a testa, lette in questo bizzarro vortice spazio temporale che è stato il 2020. Spero, anzi speriamo, che possiate trovare suggestioni e viaggi che vi emozionino almeno la metà di quanto hanno emozionato noi; di questi tempi ne abbiamo davvero bisogno.
Quest’anno ho letto davvero molto e sceglierne solo cinque è stata un’impresa, ma non temete: ci sono sempre i nostri singoli articoli, se siete in cerca di ulteriori suggestioni e ulteriori consigli! Detto ciò e facendo tutte queste premesse assolutamente non necessarie, vi auguriamo buona lettura.
La top 5 di Gabriele
Sirene – Laura Pugno – 2007
La mente è vapore che si alza da una ciotola di riso
Questo testo mi ha messo in seria difficoltà. L’ho amato con tutto me stesso, mi ha allontanato e non mi ha più mollato durante la lettura. Questo fascino perverso, talvolta corrotto, che aleggia all’interno della narrazione è triviale: l’empatia che l’autrice ci costringe a provare per un microcosmo così repellente, ma allo stesso tempo così affascinante è roba da urlo.
Fosse uscito oggi, sarebbe un’opera istantaneamente, o quasi, canonizzata come classico, e darebbe voce, a ragione, a tutti coloro che gridano verso la rinascita della letteratura italiana di genere. Purtroppo, però, è uscito nel 2007, in un’epoca nella quale, all’interno dell’arte, era ancora stabile quella stupida differenziazione tra letteratura di genere e non, come se ci fosse una letteratura di serie a e una di serie b.
Oggi quella concezione non è stata del tutto sradicata, ma si è incrinata. E menomale, aggiungerei. Laura Pugno ci prende per mano e ci accompagna in un mondo distopico mai così lontano dal nostro, eppure così sospeso nel tempo e nello spazio. L’atmosfera è liquefatta per permetterci di gustare la sensualità dei suoi passaggi onirici e bestiali. Ci muoveremo tra Sirene, Yakuza e risorse in esaurimento, col ribaltamento di tutti gli stereotipi del genere, arrivando a creare un’opera che, di fatto, è un inno al femminismo, al rispetto e all’amore puro. Consiglio questa lettura a coloro a tutti coloro che sono in cerca di una distopia nostrana ricca di spunti di riflessione e di originalità, stilistica e contenutistica.
Io sono leggenda – Richard Matheson – 1954
Morire, senza conoscere la gioia intensa e il relativo conforto dell’abbraccio di chi si ama. Affondare in quel coma orrendo, poi nella morte, e forse tornare per compiere vagabondaggi sterili, spaventosi. Senza sapere cosa significasse amare ed essere amati. Una tragedia che superava quella di trasformarsi in vampiro.
Riallacciandomi alla distopia precedente, non posso non ricollegarmi ad uno dei capisaldi del genere. Faccio ammenda per averlo letto solo quest’anno, ma sotto lockdown, mi sembrava una lettura più che appropriata. La vicenda è un pendolo che oscilla tra speranza e disperazione e, per chiunque se lo stesse chiedendo, col film che vede protagonista Will Smith c’entra poco o nulla.
Il turbamento che si prova perdendosi nella psiche del protagonista, unico superstite all’epidemia causata da un batterio (strano di questi tempi, eh?), è splendido. I suoi slanci vitali, le sue ambizioni e, perché no, le sue pulsioni sessuali sublimate e castrate dall’essere rimasto solo, hanno aperto immensi spiragli nella mia immaginazione, facendomi empatizzare al massimo col protagonista, riuscendomi ad emozionare anche nel suo peregrinare senza meta.
Ancora una volta, attraverso il rovesciamento del cliché vampiresco, ci viene descritta la deriva della società, e la banalità con cui questa si potrebbe realizzare. Dilungarmi ulteriormente, sarebbe inutile, ma ci tengo a fare un’ulteriore precisazione: non fatevi spaventare dal genere o dai vampiri. Non credo di buttarla tanto di fuori se come sottotitolo aggiungo: “La nausea di Sartre coi vampiri”, per cui, perché non provare a perdervi dei meandri della psiche contorta di Robert Neville, ultimo superstite della razza umana?
A conti fatti, come nel caso precedente, è un romanzo coi vampiri, ma è anche uno dei migliori trattati sulla diversità che siano mai stati scritti.
Le particelle elementari – Michel Houllebecq – 1998
Accettare l’ideologia del cambiamento continuo significa accettare che la vita di un uomo sia strettamente ridotta alla sua esistenza individuale, e che le generazioni passate e future non abbiano più alcuna importanza ai suoi occhi. È così che viviamo; e oggi per un uomo avere un figlio non ha più alcun senso.
Agghiacciante, spietato ed estremamente dolce. Mi sono emozionato, divertito e commosso. La mia prospettiva sul mondo, grazie a questo capolavoro, si è evoluta: non so dire se in meglio o in peggio. Sicuramente si è fatta più consapevole.
C’è tutto: il crollo della società post ’68, lo sdoganamento delle libertà sessuali con la conseguente separazione e scissione dell’amore dal sesso, la dipendenza, la distruzione dell’istituzione famigliare e chi più ne ha, più ne metta. È una lettura imprescindibile per la mia generazione, figlia e ormai assuefatta, alla società materialista.
E, punto in comune con gli altri due romanzi: quel finale lievemente distopico, totalmente inaspettato, ma perfettamente coerente con quanto raccontato in precedenza. I colpi incassati acquistano un significato diverso, che legittima un’esistenza costituita da gioia e dolore. Consiglio questa lettura a chi si sente in grado di avventurarsi in questo ginepraio. Attenzione, però: c’è il rischio di perdersi definitivamente.
Menzogna romantica e verità romanzesca – René Girard – 1961
Le leggi del desiderio sono universali ma non comportano l’uniformità delle opere romanzesche, nemmeno sui punti di applicazione. La legge fonda la diversità e la rende intelligibile. L’unità romanzesca appare a condizione che smettiamo di considerare il personaggio – il sacrosanto individuo – come una entità perfettamente autonoma e scopriamo le leggi dei rapporti fra tutti i personaggi.
Questo è un saggio letterario, ma non solo, di incredibile lungimiranza e potenza. Grazie ad un percorso nelle opere che hanno contribuito a formare l’immaginario della cultura letteraria occidentale, Girard smonta, tassello per tassello, quel bagaglio di convinzioni e costrutti morali che ci portiamo, o crediamo di portare, dietro da sempre.
Alla mia prima lettura, durante il secondo anno di università, ne uscii distrutto. Quest’anno l’ho preparato per un esame magistrale e ne sono uscito completamente devastato. È scritto benissimo, e, più che un saggio, pare di leggere un’ avventura rocambolesca all’interno della nostra cultura.
Assistiamo alla lenta rivelazione dei meccanismi che muovono i personaggi delle opere che amiamo, e, di conseguenza, del nostro agire sociale. Non è una lettura facilissima, perché richiede un certo background letterario per apprendere a pieno ogni sfumatura, ma è assolutamente essenziale e necessaria se siete dei lettori incalliti, o semplicemente appassionati a ciò che sta “dietro” alla nostra formazione di individui nati e cresciuti nella società occidentale.
Consiglio questa lettura a chiunque voglia, per la prima volta e senza filtri, guardarsi allo specchio. Di difficile reperibilità cartacea, è disponibile in e-book praticamente ovunque.
Gli ultimi giorni di Pompeo – Andrea Pazienza – 1985/1987
Ci sono uomini, ci sono artisti che sanno che si può sentire ben oltre il qui e l’ora. Che sanno percepire il ricordo di quando l’universo ancora non esisteva, di quando non eravamo ancora nati, e la realtà del sogno, la musica dell’infinito, i sentimenti dell’essere già morti, la nobiltà dell’ultima disperazione, la tragicità dell’allegria, la pienezza dell’attimo perduto, la futilità del tutto, la grandezza del nulla. C’è tutto questo nelle pagine di Pompeo.
Lo so, sto barando. Un po’ perché è una rilettura che mi concedo annualmente, un po’ perché ne ho già parlato, ma pazienza. È la giusta sorte che spetta ai capolavori senza tempo.
Fumetto di indescrivibile bellezza che racconta la dannazione di una generazione disillusa a causa del fallimento degli ideali in cui credeva. Pazienza riesce a raccontare Bologna, il Dams, la contestazione e l’eroina. Tutto questo con una delicatezza inimmaginabile e senza eguali.
Il termine che più si avvicina al lavoro compiuto dall’autore in queste pagine è Delirio: Pazienza disegna dappertutto e con ogni stile: passa dai fogli quadrettati di un quaderno a tavole che sembrano dipinti pittorici. Non si cerca mai la lacrima semplice, tutto è così sussurrato e autentico da non riuscirsi più a staccare dalle pagine.
Alla stregua di un antieroe nato dalla pena di Dostoevskij, Pompeo vaga per le strade di una Bologna infernale, diventando una figura cristologica pronta a farsi emblema dei mali di una generazione, non ascoltata, non compresa e troppo spesso dimenticata.
La top 5 di Francesca
L’amore ai tempi del colera – Gabriel Garcìa Màrquez – 1985
E quanto crede che possiamo continuare con questo andirivieni del cazzo?
Tutta la vita.
Doveroso iniziare con un mea culpa: sì, sono arrivata a ventiquattro anni senza aver mai letto Màrquez. A quanti di voi si collocano sulla mia stessa linea (libro vecchio, troppe pagine) volevo ricordare che c’è sempre un perché se certi libri vecchi con così tante pagine vengono ancora tirati, venduti, letti ed amati: ed è perché sono dei libri della madonna. (Scusa mamma, anni di tasse universitarie e poi mi esprimo così!).
Dunque, XX secolo, sono gli anni ‘20, un battello a vapore batte la bandiera del colera, fa avanti e indietro e non si ferma mai. Non può, perché i colerosi non possono scendere dalle imbarcazioni, la pandemia è appena passata ma i suoi spettri sono ancora tutti vivi. Nessuno dei suoi quattro passeggeri tuttavia è ammalato di colera, sebbene almeno una volta ne abbia manifestati i sintomi: nausea, brividi, deliri febbrilità. Non era tuttavia il colera, ma l’amore.
Un amore, quello fra Florentino Ariza e Fermina Daza esperito e poi negato, ostinatamente rifiutato per decadi, una guerra di trincea che logora anche gli esseri umani più pazienti. Sullo sfondo di un pazzesco romanzo storico (non vi inganni il titolo: un centinaio di pagine sulle vicende geopolitiche della Colombia non ve le toglierà nessuno), L’amore ai tempi del colera è, per citare Buzzati in un’altra opera che non a caso s’intitola Un amore, un romanzo su come la vita riannoda “con pazienza […], attraverso catene di apparenti casi, due sottilissimi fili che si erano persi.” Anche dovesse metterci “cinquantatré anni, sette mesi ed undici giorni, notti comprese”.
Tra donne sole – Cesare Pavese – 1949
Per uccidermi aspetto la bella stagione, non voglio esser sepolta con la pioggia -Io- disse Rosetta – non ho avuto più pazienza di aspettare.
Una cosa che dico spesso di me stessa è che sono nata il nove zeronove, 9 Settembre, come Cesare Pavese. Ciò che unisce me e lo scrittore torinese è tuttavia un legame ben più solido del vincolo di una data, è un fil rouge che si dipana attraverso gli anni dalla sua penna elegante al mio cuore settembrino, come il suo. Non potrei spiegarvelo meglio di così, perché l’amore non si spiega.
Posso però provare a parlarvi di Tra donne sole, romanzo da cui poi Antonioni trarrà il film Le amiche. Nessun altro meglio di Antonioni d’altra parte avrebbe potuto mettere in scena i silenzi di tre ragazze dell’alta borghesia, capitate a Torino o trapiantate e comunque perennemente di passaggio, nella città, nella vite degli altri, e a volte anche nella propria.
È il caso di Rosetta, con il cui tentativo di suicidio gestito con un cocktail di farmaci mal calibrato in una stanza d’hotel si apre il romanzo. Ad appena un anno di distanza da questo evento, Cesare Pavese si suiciderà, con un cocktail di sonniferi ben più riuscito, in una camera d’hotel di Torino Portanuova, a due passi dalla stazione. Da questo punto di vista Tra Donne Sole si può ritenere una “prova generale di suicidio” impersonata vestendo i panni di una ragazza, ma d’altra parte niente di così sorprendente: scrivere è riscrivere.
La Ragazza con la Leica – Helena Janeczek – 2017
Quando Gerda Taro muore alla fine della guerra civile spagnola, Fred Stein, suo affittuario a Parigi (nonché autore di una celebre foto di Einstein), fa arrivare a Robert Capa, marito di Gerda, un pacco di negativi con alcune foto di lei. Lei alla macchina da scrivere, lei ai tavoli di un bar, lei che si prepara ad uscire. Capa conosce il tipo di bellezza che Gerda sprigiona, immagina che anche gli altri lo notino, immagina anche che qualcuno sia riuscito nell’arduo compito di fare qualcosa di più che notarlo, ma sceglie di non indagare.
C’è una persona di cui comunque non sospetta ed è Georg Kuritzkes, medico tedesco riparato a Napoli, amico di Gerda, troppo amico per essere amante. Con quelle foto affidate da Stein, Capa parte per Napoli deciso a regalare l’intero pacco a Georg. Il medico analizza le foto, ce n’è una che ritrae la ragazza particolarmente svestita e lui se la ricorda Gerda particolarmente svestita, perché l’ha vista. Ma ora ha Capa davanti, dolorante, sofferente, è tardi per dirsi di chi sia stata una ragazza che è morta investita da un carro armato, di quanti sia stata la ragazza con la Leica.
Fortuna che non la pensa così l’autrice del libro che invece ci regala uno splendido ritratto tra il verosimile storico e la finizione romanzesca di questa straordinaria ragazza, una fotografa ingiustamente entrata nella memoria popolare per la sua fine, restituendo al pubblico invece tutta la sua arte e la sua vitalità.
Caro Michele – Natalia Ginzburg – 1973
Nel mio scantinato, credo in fondo a un cassetto, c’è una sciarpa.[..]Vorrei che tu andassi a cercarla e la portassi. Sarei contento di sapere che hai al collo quella sciarpa, quando cammini per il lungotevere uscendo dal tuo botteghino. Non ho dimenticato le nostre lunghe passeggiate sul lungotevere, avanti e indietro col sole che tramontava.
È il 1971, sono gli anni di piombo. E plumbeo è infatti il cielo che Adriana, madre di Michele, scorge da dietro le finestre della casa dove vive in compagnia di una cognata rompiscatole, plumbeo (quasi funereo) il tono con cui scrive le lettere al figlio desaparecido, tutte propiziate con “Caro Michele” , virgola e a capo. Il suo nome compare nel titolo ma il ragazzo scompare fra le pagine, è personaggio evanescente: corre di lettera in lettera e riesce a sfuggire a tutti quelli che tentano di mettersi in contatto con lui, o forse solo col ricordo di lui, o forse solo col ricordo di chi erano loro quando stavano con lui.
Michele è un centro vuoto attorno al quale gravitano ostinatamente le vite di tutti gli altri personaggi: la melanconica madre Adriana, la “spiantata” Mara, il misterioso Osvaldo (al quale sono indirizzate le righe di cui sopra) e la sorella Angelica, insospettabile deus ex machina antesignana letteraria di tutte le Ilaria Cucchi nel mondo. È lei di fatto che tiene insieme il nucleo famigliare ormai discioltosi, privato proprio del suo nucleo con la partenza di Michele. È un libro dai toni novembrini, fatto di nebbia e fantasmi, parole mai dette, di scelte sbagliate e grandi rimorsi. Eppure ogni tanto si affaccia fra le nuvole uno spiraglio di una luce giallastra a gettare clemenza su ciò che è stato e, anche se solo per la durata di un paragrafo, si può avere l’impressione di essere stati felici, nonostante tutto.
Unastoria – GIPI – 2013
Sono le quindici di lunedì, è il primo giorno di università, l’aula è gremita. O almeno immagino che lo sia, io non lo so, perché sto seguendo la lezione dal mio pc, al tavolo della cucina e tutto ciò che ho per ricostruire la scena è una bieca inquadratura del professore.
Si parla di grandi autori contemporanei, scrittori da otto righe e ottocento pagine, nomi arcinoti o firme di nicchia: Arbasino, Mari, GIPI. GIPI? GIPI. Sì, GIPI è uno scrittore. Propriamente autore di graphic novel, “romanzo a fumetti”, ma con un altissimo valore letterario. E’ proprio per quest’ultimo che con quel magnifico album di disegni e parole che è Unastoria, GIPI fa il suo ingresso nella rosa del Premio Strega, è il 2014, ed è il primo autore di graphic novel ad avervi accesso Non vincerà e non avrebbe comunque potuto, lo Strega è un ambiente tendenzialmente ostile agli outsider, per usare un eufemismo.
In Unastoria troviamo in realtà duestorie appartenenti dello stesso albero genealogico: un bisnonno reduce di guerra e un bisnipote reduce da un divorzio e dalla depressione. Come quasi tutti gli altri romanzi dell’autore, è un libro fatto di pioggia che incessante bagna i colori, scava i volti delle persone assieme alle lacrime, inzuppa le pagine dei diari scritti da penne traballanti, fatti di parole cancellate. Per usare un aforisma arcinoto di Italo Calvino:
la (sua) fantasia è un posto che ci piove dentro.
Grazie per averci seguito in questo delirio. Spero vi siate divertiti con noi.
Un saluto e buona scoperta!
Gabriele e Francesca