AVVERTIMENTO: ciò che segue saranno paragrafi di puro spoiler, perciò, se non avete terminato la serie, o avete almeno intenzione di cominciarla, non partite di qui.
Fuggite, ora.
HIMYM è quella serie che prende il titolo da un personaggio che vediamo sì e no dieci puntate. Dopo averci abituati all’intreccio sempre più ripetitivo di un accogliente nucleo di personaggi ecco che da un momento all’altro, in stivali da cowboy e ombrello giallo vediamo spuntare Tracy McConnell, mamma.
Potremmo odiarla per l’intromissione patogena nel nostro habitat confortevole, e invece la amiamo, non possiamo fare altrimenti. Siamo costretti ad amare il suo sorriso dolce, le sue poche ma congeniali parole di conforto, se mai ci fosse passato per la testa di respingerla, quando persuade Robin dal fuggire dal proprio matrimonio (per la realizzazione del quale abbiamo sofferto una stagione intera, e due pregresse) il cuore ci si scioglie e il vincolo che poi la legherà a Ted ci lega tutti quanti in un grande, appiccicosissimo abbraccio.
E questa è la storia di come Ted ha incontrato la madre dei suoi figli, d’improvviso come sempre succede, alla fermata di un treno come ormai non succede più.
Adesso fermatevi un attimo.
Se dopo aver visto HIMYM siete convinti che incontrerete la donna della vostra vita sotto un vistoso ombrello giallo, persa tra il restare e il partire alla fermata del treno, avete preso un grande abbaglio.
Oltre al fatto peraltro massiccio del divieto di spostamento intercomunale c’è un particolare che state certamente trascurando forse a causa del binge watching: la vita non ha una sceneggiatura.
E se ce l’ha, tutt’al più è stata scritta dagli sceneggiatori di Boris.
Gli stivali rossi
Procedendo per una simbologia cara alla fanbase della serie, gli stivali a cui si fa riferimento sono quelli che Ted minaccia a più riprese di indossare. Per coloro che hanno dato i sei crediti standard di linguistica, “stivali rossi” è il segno che significa direttamente “Ted”.
Ted Mosby è un architetto e inguaribile romantico, la cui fede nella Donna Della Sua Vita va scemando di volta in volta fino ad una capitolazione semiseria che però nasconde il lieto fine.
Ci fa tenerezza, qualcuna di noi avrà pensato di volerne uno, qualcuno ci si sarà identificato nelle sue vicissitudini sentimentali ma ecco a voi un’altra cosa che Ted è, irrimediabilmente: un personaggio.
Ted è nato su un foglio di carta, il suo nome semplice che rimanda alla tenerezza degli orsacchiotti forse è stato cerchiato due volte di rosso da uno showrunner seduto ad un tavolo di altri come lui impegnati a costruire lo scheletro di Ted, le sue ossa di tastiera, il suo organismo che con ogni probabilità si componeva su un foglio di Microsoft Word.
Si sarà inceppato, prima sarà stato un fan del gelato poi della pizza, cose semplici, e infine col consenso tacito di tutti gli sceneggiatori è diventato la marionetta che noi abbiamo amato.
Qualcun altro ha mosso i suoi fili, qualcuno gli ha cercato un volto paffuto e un po’ anonimo ma affidabile e l’ha guidato attraverso una foresta di possibili donne della sua vita, di liana in liana, di bionda in mora fino al lieto fine.
Ted Mosby non siete voi.
Perché voi respirate, e grazie a Dio avete nella vostra vita molto più che un interesse unico, un solo gusto cinematografico, un solo oggetto del cuore. Siete sfaccettati, e per questo di fatto possibilmente assortibili con chiunque, ed anche con nessuno.
La sindrome di Mosby
Potreste tuttavia aver deciso, per vari motivi che spaziano dall’immaturità alla paura cronica del legame, di testare tutto il reame per scoprire in chi si nasconda la principessa, e questo è il fenomeno di cui intendevo parlarvi oggi e che per comodità chiameremo: La Sindrome Di Ted Mosby.
I sintomi sono pochi ed inequivocabili: una ragazza a settimana, occhi nuovi e peculiarità a cui tentare di abituarsi di volta in volta, poche parole che vi descrivano sbocconcellate (sempre meno, in maniera inversamente proporzionale al numero di ragazze che avete avuto di fronte a quel tavolo) per poi uscire dal locale più vuoti di quando ci si è entrati, inviare un messaggio (se siete eleganti, altrimenti vi si prospettano ben altre forme di disonestà) e ricominciare così.
Una bulimia affettiva, ingurgitare attenzioni e rivomitare solitudine.
Allora, se quello/a (chi ha detto che solo gli uomini possono prendere in giro un potenziale partner? ) che ho appena descritto sei tu che stai leggendo, fermati.
Se la donna della vostra vita non si nascondeva fra le ultime quindici che avete frequentato, portato in casa, portato a letto, è altamente improbabile che sia la sedicesima.
Chi state cercando davvero?
Una donna o voi stessi?
Siete lì che in volta in volta vi preparate di fronte allo specchio, recitate frasi che sono diventate un copione, una preghiera, pensate di consumare la vita mettendovi di volta in volta alla prova e invece è la vita che consuma voi.
Vi lascia senza intimità, senza segreti, vi toglie significato.
L’ombrello giallo
Permettetemi di inserire adesso una piccola digressione che spero aiuterà poi sia me che voi a riannodare i fili di questa intricata questione.
In questo ultimo ottobre inaspettatamente piovoso, qualcuno aveva dimenticato un ombrello giallo su una panchina di fronte alla biblioteca dove faccio il Servizio Civile. Stava lì, uncinato allo schienale, appoggiato alla panchina come un cane che aspetti il ritorno del padrone fuori dal supermercato.Sono passati i giorni, e le settimane, vento pioggia e foglie, l’ombrello è rimasto lì.
Nessuno ha pensato di portarlo dentro per un bel pezzo, forse ci sembrava naturale aspettare il ritorno del proprietario.Per tutti i nove giorni in cui è rimasto in quello stato andavo propagandando che chi l’avesse preso avrebbe trovato la sua “mamma” ad aspettarlo, penso di aver propinato questa assurda romanticata a qualsiasi ragazzo che varcasse quella soglia, in cerca tutt’al più di un diciotto ad analisi.
Venne fuori che la proprietaria era effettivamente una ragazza, non trovò nessun ragazzo a reggere il suo ombrello.
E’ una piccola storia questa, che nasce proprio di fronte al luogo che per antonomasia si promette di custodire tutte le storie, la biblioteca, ed è una storia senza finale, o per lo meno non quello romantico che si sarebbe meritata. E’ la vita che si poteva fare letteratura di cui parlava Sciascia, e che invece è rimasta solo vita, semplice.
Forse la donna della vostra vita non dimentica ombrelli gialli su una panchina, forse la donna della vostra vita mette stories di gattini alle quali potrete rispondere con una reaction qualsiasi, ma il punto al quale volevo arrivare è questo: se inciampate in una storia, seguitela.
E alla fine (forse) arriva mamma
Forse la storia che ci voleva raccontare Ted, altro non è che una storia qualsiasi, una storia come tante di vita che ad un certo punto perivene ad un incrocio, un dunque.
Se pensate tuttavia che la strada sia già tracciata, vi invito a considerare che tutte le svolte pregresse le avete decise voi, le gambe sono le vostre, siete voi che camminate.
Perciò, io credo infine che la donna della vostra vita non vi aspetterà pazientemente alla fermata di un treno tanto quanto non sarà la sedicesima o la diciassettesima (magari era la prima o la seconda e non ve ne siete accorti) certamente per trovarla sarà essenziale continuare a camminare.
E chissà, forse fare caso agli oggetti smarriti sulle panchine.
E’ tornato il solito PS
Con un’operazione in pieno stile “Se mi lasci ti cancello” (al secolo il lirico “Eternal Sunshine Of The Spotless Mind”) “E alla fine arriva mamma” fu il titolo che qualche poco inventivo ma convinto italianista scelse per far approdare la serie su Mediaset. Per coloro che fossero stati talmente masochisti da seguire una serie con le risate a fine gag e aggiungervi l’inconveniente del doppiaggio italiano un invito accorato a riguardare la serie, in inglese.
Baci simpaticissimi
Francesca.