Fin da quando ha preso coscienza dell’irrilevante posizione che occupa nello spazio e nel tempo, l’uomo si è sempre chiesto che cosa incida sulle proprie scelte, oltre la volontà individuale naturalmente. È un pensiero stratificato così in profondità nel tessuto sociale e psichico che non è possibile confrontarsi con la propria quotidianità senza considerare il destino e il caso, quali macrocategorie in cui relegare ogni aspetto non regolato – e non regolabile – dall’ intervento umano.
Forze sovrannaturali? La propria condotta di comportamento? Il disegno di una capricciosa divinità? Circostanze accidentali non soggette alla volontà propria né a quella altrui?
Siamo noi a determinare le nostre scelte oppure c’è una componente mistica, metafisica o cosmologica che non ci è dato conoscere?
Lungo il corso della storia della civiltà umana, attraversando rivoluzioni scientifiche, rinnovamenti del paradigma filosofico dominante, processi di secolarizzazione e quant’altro, il pensiero che le nostre azioni siano dettate da volontà superiori ha gradualmente perso l’efficacia persuasiva con cui circoscriveva l’esistenza.
Tuttavia, gli aspetti gnoseologici e morali del problema sono inestricabilmente connessi alla radice di altri rompicapo, come quello dell’interazione fra mente e corpo – il dualismo cartesiano, per intendersi – o quello di conciliare l’operato di Dio con la presenza del male nel mondo – la teodicea. Difficile, dunque, tracciare confini così netti fra schemi di ragionamento sedimentati e suggestioni il cui grado di persuasione è variabile non solo da individuo a individuo, ma anche da circostanza a circostanza.
Ciò che, al più, si può tentare è una disamina di come caso e destino si presenterebbero se fossero elementi comprensibili dalla mente umana e traducibili in un linguaggio in grado di caratterizzarli.
Se il destino fosse un’equazione matematica, l’unica costante sarebbe la morte. Diversamente, ogni azione, ogni pensiero, ogni respiro, financo la propria nascita, altro non sarebbero che variabili, funzionali alla risoluzione dell’equazione stessa. Si noti bene, però, che sarebbero variabili soltanto dal nostro limitato punto di vista, e non da quello di un’eventuale forza superiore, di qualsivoglia genere, che quell’equazione l’avrebbe scritta per ognuno di noi, risultato finale compreso.
Certamente più interessante è, piuttosto, ridurre il caso a un’equazione matematica. Comprensibilmente, anche stavolta, l’unica costante è la morte, così come l’intera vita, dal primo all’ultimo respiro, è un insieme infinito di variabili. Ma – e questa è la discriminante – le variabili sono tali in assoluto, non in relazione al nostro punto di vista. Non vi è controllo alcuno sul mondo delle variabili, né da parte nostra né da parte della solita eventuale forza superiore.
Quello che viene chiamato caso, allora, potrebbe essere ridotto, in modo semplicistico, all’insieme delle responsabilità umane – le nostre e quelle degli altri – inserito in un contesto spaziale e temporale, laddove spazio e tempo incidono causalmente – ma casualmente – sull’intersecarsi continuo delle responsabilità che ognuno di noi si trascina dietro con le proprie scelte. La nostra vita è – può essere – segnata dalle nostre scelte e da quella degli altri, così come la vita degli altri è segnata anche dalle nostre.
A costo di tradire la fiducia del lettore, debbo dire che, a cosa conviene credere, non saprei rispondere. Quel che è certo, però, è che le nostre scelte determinano in ogni caso chi siamo e chi vogliamo essere, così come abbiamo il dovere di agire responsabilmente sia nei confronti di noi stessi che in quelli degli altri.