Quinta intermittenza
Benvenuti o bentornati tra queste pagine.
Siamo arrivati alla quinta intermittenza, o al quinto racconto, che dir si voglia. Per festeggiare il primo “traguardo” di questo mio nuovo spazio, ho deciso di pubblicare qualcosa di già edito. Sempre scritto da me, sia chiaro, ma qualcosa a cui sono particolarmente legato.
Quest’insieme di racconti brevissimi (o di ritratti) formano un continuum, un mosaico narrativo al quale sono affezionato. Come li ha definiti una mia cara amica, costituiscono una “giornata fatta di giornate”, nel qual potersi serenamente smarrire, tra un tuffo al mare, passeggiate notturne, e insonnie fulminanti.
Per accompagnare questi racconti, un amico e un compositore, Daniele Castellani, ha composto ad hoc un brano per ogni racconto, da poter ascoltare prima, dopo o durante la lettura. Vi lascio il link per la playlist.
Buona lettura!
Ogni giorno il mondo girava con un gemito e noi esploravamo sgomenti la notte
Jack Kerouac
00.01
Prima di dormire la domanda è sempre la stessa:
Perché sogno?
Quando il sogno svanisce, la questione si capovolge:
Perché mi sveglio?
Dopo averla sognata per lunghe ed estenuanti notti, il risveglio era sempre traumatico: non riuscivo più a riconciliare realtà la realtà con la finzione e ciò mi creava disturbo, fastidio.
Era doloroso.
Alle sofferenza ho contrapposto l’annullamento, ma anche questa tecnica inizia a essere inutile. Ci si mettono pure il Covid, la zona rossa, l’uccello appeso al chiodo, gli esami e persino le elezioni americane. Basta!
Ma come fai a dormire serenamente?
Una puttana?
No, non fanno al caso mio. Ho paura.
E di cosa?
Di non essere all’altezza delle loro aspettative.
Aspettative?
Hanno una certa esperienza, credo.
Ma le paghi, brutto scemo.
Chiudo gli occhi per scacciare quella voce fastidiosa e, un secondo prima di cadere tra le braccia di Morfeo, li riapro. Se n’è andato finalmente. Vado a chiudere la finestra; a ottobre ho sempre questo brutto vizio. Mi sporgo per controllare che la notte non faccia scherzi, ma soprattutto che sia tutto in ordine. Il viandante delle tenebre – come piace chiamarlo a me – è lì, come ogni notte. Questa notte sbercia contro un micino che lo segue. A ognuno la sua croce. Penso proprio che questa notte riuscirò a dormire, finalmente.
(Spoiler: non ci riuscirà)
03.20
Sono quattro ore che cammina. Cammina per dimenticare o per ritrovarsi? Nessuno lo sa, e forse nemmeno lui. L’insonnia gioca brutti scherzi. Da un paio d’ore un gattino ha iniziato a seguirlo; nonostante numerosi, maldestri, tentativi di scacciarlo, il micio è sempre al suo fianco ed imperterrito lo segue. È diventato la sua ombra. La notte è un privilegio e non può essere sprecata. Così pensano l’animale e l’essere umano che gli cammina accanto.
La città è in stasi e loro regnano incontrastati. Le tenebre benedicono coloro che vi si perdono, e questa strana coppia non fa eccezione. Il ragazzo ha ormai perso la concezione del tempo, quando giunge, per la sesta o settima volta, nei pressi della biblioteca comunale. Decide di cogliere al volo quest’occasione e si sdraia sulla prima panchina che trova. Il gatto, non aspettando altro da un’ora a questa parte, gli salta sopra e si adagia sul torace. Il pelo odora di castagne innocenti, fughe nel bosco e occasioni sprecate. Con un sorriso in volto, il ragazzo riesce finalmente a prendere sonno.
8.58
La biblioteca apre tra due minuti. Lei lo sa, ma come ogni mattina è lì, ad attendere l’apertura del suo rifugio. Lo stomaco si fa già sentire. Strano, pensa lei. Dopo 2,8 grammi di creatina, 20 gocce di vitamina d base e un caffè amaro, dovrebbe essere a posto fino all’una. Stamani si sente strana. Prende il telefono, fa un giro su Instagram e lo vede. Pensa a quanto sarebbe bello passarci la notte, ma anche solo venti minuti andrebbero bene. Posa il telefono, si accende la sigaretta e sospira. Quello stronzo, pensa. Spenge la sigaretta dopo nemmeno due tiri. Quelle troie, continua a pensare. Riprende il telefono e vede l’ora. Sono le nove.
Entra in biblioteca con la spocchia di chi crede che arrivare prima sia un privilegio, ma con l’aria abbattuta di chi è consapevole che questa sarà una giornata facsimile di quella appena trascorsa e di quella che verrà. I corsi sono iniziati, la biblioteca è deserta e lei ne è la regina incontrastata. Si siede, alza lo sguardo in cerca di un segnale dall’alto, ma non riesce a cogliere nulla. Triste, stanca, ma avvezza a tutto ciò, torna al suo studio. Come ogni autunno passato a idealizzare l’estate appena conclusa, ma mai vissuta davvero, pensa a quanto sarebbe liberatorio trascorrere una giornata al mare.
15.20
A gambe incrociate, su una spiaggia solitaria e defilata – Battiato ne andrebbe fiero – contempla il mare nella sua bellezza e nella sua disturbante immensità. Ama andare al mare in questa stagione, sempre che quest’attività di guardone delle onde a ottobre possa essere associata a ciò che intendono i villeggianti di ferragosto. Se ne sta lì, con la sua maglia a maniche corte e i suoi jeans, a riflettere se sia il caso di rimanere in mutande a godere di questo panorama. Come sempre non ce la farà, ma le sue tribolazioni mentali sono tutto ciò che gli rimane. Se andasse in palestra e superasse la sua insormontabile vergogna, forse potrebbe riuscir… No, non credo ci riuscirebbe nemmeno in quel caso, ma è bello sperare.
Accosta l’asciugamano il più vicino possibile all’acqua, per ridurre al minimo il tragitto da percorrere quando esce. Spuntasse qualcuno, troverebbe riparo in fretta. Conosce benissimo quest’anfratto dimenticato da Dio, o da chi per lui, e sa che nessuno passa di qui per caso. È cocciuto però, e fa di testa sua. A due ore dal suo arrivo, dopo essersi cullato nelle sue teorie complottistiche, finalmente si butta.
20.00
ATTO UNICO
Scena unica
Sala pesi di una palestra commerciale.
Il nostro entra in scena. Indossa una canottiera attillata. In mano ha due manubri che sembrano appesantirlo e un sulla spalla porta un piccolo asciugamano.
LUI
Bastardi! Ora ve lo faccio vedere io.
Scaraventa l’asciugamano per terra e lascia andare i manubri, disturbando gli altri utenti della sala.
LUI
Sono tale e quale a voi!
Frenetico, riprende i manubri e inizia a pompare i bicipiti.
LUI
STRONZI!
PAUSA
LUI
Pasti saltati, aperitivi negati… Per cosa? Sarò come voi. Ce la metterò tutta. Ci riuscirò, o morirò provandoci.
PAUSA
LUI
Vi faccio paura, eh? Invidiosi?
Il pubblico inizia a mormorare. Cautamente e ordinatamente, si alza e si avvia verso l’uscita.
LUI
Fermi! Ma dove andate?
Disperato, si getta a terra.
LUI
Restate, vi prego.
PAUSA
LUI
Volevo solo essere come voi.
Alza lo sguardo ed immediatamente nota un unico spettatore rimasto.
Quest’ultimo si alza e applaude.
LUI
No! Ancora tu! Vattene, ti prego!
Il nostro esce di scena.
22.40
Eccoci qua, alla fine di un’altra giornata trascorsa a osservare le donne degli altri. Croce e delizia essere vivi, amici miei. Per concludere in bellezza, vado a bermi un caffè – rigorosamente al vetro – nel bar vicino casa. Varcata la soglia, li trovo tutti lì, ad aspettarmi. Il sognatore ha una brutta cera, la notte scorsa dev’esser stata dura per lui, poveraccio. Il viandante della notte, invece, è stranamente felice: ha con sé un gattino che mostra a tutti, e, ovviamente, fingiamo che ce ne importi qualcosa. In realtà, ci basta che sia felice. Potrebbe anche trombarselo il gatto per quanto mi riguarda.
La studiosa è in ansia, si morde continuamente le unghie ed evita lo sguardo degli altri. Provo a sedermi vicino a lei, giusto per farci due chiacchere, ma è inutile: mi ignora. Guardo avanti a me e seduto, con un’improponibile mise a fiori, c’è l’amante del mare. È facile da identificare perché ha ancora la sabbia tra i capelli, o in quel che ne rimane. Sta scambiando due parole col palestrato accanto a lui. Sembra appena uscito dalla sala pesi: ha i nervi a fior di pelle e sembra veramente irascibile; stasera non gli parlerò, non voglio tornarmene a casa con un occhio nero.
Nel mentre analizzo quest’incredibile fauna, spunta, sull’uscio del locale, lui, imperturbabile nella sua febbrile agonia. Con uno schiocco di dita ci richiama all’ordine e noi, come mossi e controllati da un potere superiore, ci dirigiamo verso l’uscita. Proseguiamo tutti e 7 per le strade buie del paese. Gli altri accelerano e prendono improvvisamente una traversa.
Rimango leggermente indietro e una volta svoltato l’angolo, trovo ancora lui, da solo. Gli altri si sono volatilizzati. «Che hai?», mi chiede sorridente. «Niente, ho solo un macigno tra stomaco e cuore che non riesce ad andare giù». Mi rivolge uno dei più bei sorrisi che abbia mai visto. «Allora stanotte tocca a te, vero?». «Sì», rispondo rincuorato e fremente nella notte che ci avvolge. Mi cinge le spalle col suo braccio, e ci incamminiamo verso il mare. Parliamo dei massimi sistemi del mondo – donne, università, cinema e libri – e lui mi ascolta, interessato e attento.
Non mi fa mai sentire a disagio. Persa ormai la concezione del tempo, arriviamo al limite del cammino, dove gli scogli regnano sovrani sul paesaggio artificiale e sull’acqua che vi si infrange continuamente. C’è una ragazza seduta sul muretto che ci divide dagli scogli. Lui le si avvicina e le si siede accanto. Io mi metto vicino al mio accompagnatore: non voglio risultare troppo molesto. Appena provo ad incrociare lo sguardo di lei, mi rendo conto che siamo rimasti soli. Lui è scomparso.
Per colmare il vuoto che si era venuto a creare, mi faccio coraggio e prendo il posto che era stato lasciato vuoto. I nostri sguardi si incrociano per un secondo. Non saprei descrivere il suo abbigliamento, è molto buio. Lei mi prende per mano e insieme aspettammo l’alba. In silenzio, senza dire una parola.
Inizia un nuovo giorno. Inizia una nuova vita.
Fine