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Recensione “Non è poesia”, Erika B. Riot

Recensione “Non è poesia”, Erika B. Riot

Non è poesiaNON E’ POESIA

di Erika B. Riot

Editore: Self Publishing

Pagine: 158

 

 

 

TRAMA. La schizofrenia, decisamente, non è poesia. È prima di tutto incomprensione reciproca. Il soggetto schizofrenico non riesce a comprendere il mondo esterno utilizzando chiavi di lettura comunemente condivise, mentre le persone che si relazionano con lui faticano ad entrare nei suoi schemi mentali, a capire come comunicare all’interno di un contesto spesso impenetrabile. A maggior ragione quando lo schizofrenico non sa di essere malato: si trova quindi a soffrire per la mancanza di empatia da parte di chi lo circonda e imparerà presto a identificare come nemici coloro che non partecipano alla sua allucinazione. ‘Non è poesia’ è un viaggio attraverso l’esperienza di Erika, una bambina che si trova suo malgrado ad essere l’unica caregiver della mamma, la quale soffre di schizofrenia paranoide e a causa della sua patologia tende ad isolarsi e ad allontanare in malo modo chiunque provi ad entrare in contatto con lei. Di conseguenza, anche Erika è costretta a confinarsi entro le mura di casa, a limitare al minimo i rapporti con estranei e familiari. Prova più volte a chiedere aiuto, ma sembra che nessuno voglia riconoscere la patologia. La parola “schizofrenia” fa ancora paura e il risultato di una sottostima del problema è spesso un’escalation di violenza. Allo stato attuale, inoltre, non c’è modo di obbligare una persona non consapevole della propria malattia a curarsi.

 

RECENSIONE.

<< Vuoi stare con la mamma o con il babbo? >>
Ho perso il conto delle volte in cui mi è tornato alla mente il ricordo di questa domanda. E’ una domanda barbara, sciagurata. A 7 anni non puoi saper rispondere, non hai i mezzi per farlo. Non dovresti averceli mai, a dire il vero, perché buttare giù dal ponte uno dei tuoi genitori non è umano né a 7 anni, né a 15, né a 50.

“Non è poesia” di Erika B. Riot non è assolutamente un libro facile da leggere, tantomeno leggero.
Quella che viene raccontata è una storia autobiografica e familiare: Erika ci porta con sé nella sua infanzia e ci fa conoscere la bambina che era e sua madre affetta da schizofrenia paranoide e cecità. Il testo si presenta come un flusso di coscienza ininterrotto e sin dalle prime righe risulta crudo, diretto e angosciante.

Scelsi di vivere con mia madre perché capivo che aveva più bisogno di me. Nella mia ingenuità di bambina ero certa di aver fatto la cosa giusta per il bene di tutti. Riconoscevo, prima ancora di prendere questa decisione, quanto la parola Sacrificio descrivesse bene quello che stavo per affrontare, ma speravo che prima o poi mia madre si sarebbe svegliata di buon umore, mi avrebbe ringraziata per il supporto datole e mi avrebbe dato tutto il sacrosanto affetto che a ogni figlio è offerto già solo per il fatto di essere figlio.

Beh, posso anticiparvi che così non è stato. Con una scrittura fluida e corretta, Erika racconta tutte le vicende che ha dovuto affrontare sin da bambina; Tutte le paranoie, i soprusi e gli “scleri” della madre, dovuti ad una malattia che non è stata diagnosticata per tempo.

Il nodo che avevo stretto sopra al lampadario era troppo debole e in quel momento si sciolse, cosicché mi ritrovai semplicemente in piedi per terra con lo spago avvolto intorno al collo. Si sentì solo il rumore della sedia e del lampadario che dondolava. Avevo 9 anni e avevo appena fallito un tentativo di suicidio. << Non sono capace neanche a suicidarmi >> pensai.

Vi avevo già detto che “Non è poesia” non è un libro semplice. Ma non voglio soffermarmi ancora sulla sofferenza; quella è presente in ogni riga, in ogni pagina del testo. Ed è un pugno allo stomaco.
Vorrei soffermarmi su un’altra domanda: visto che il proverbio più conosciuto ( e più rispettato) è sicuramente “I panni sporchi si lavano in famiglia”, Perché scrivere un testo del genere, dove denunci la tua famiglia?

<<Va beh ma io la denuncia non te l’accolgo. Non mi interessa. Ha fatto una cazzata ma sporgere denuncia vuol dire affrontare un processo.>>

E’ qui che si apre un tema ben più ampio e complesso. Il testo ha un obiettivo molto importante: SENSIBILIZZARE.
Erika ha dovuto lottare da sola, contro sua madre e contro chi avrebbe dovuto comprenderla, accoglierla e soprattutto aiutarla. Purtroppo, c’è ancora questa convinzione radicata (Amico Patriarcato, era tanto che non ti sentivo) che una madre non può fare del male a suo figlio. Perché? Beh, ovvio è la madre. Nonostante gli ostacoli e la malattia amerà suo figlio più della sua stessa vita, è inammissibile che possa fargli del male.
Beh, è possibile invece. E se il figlio denuncia qualcosa, il fatto è sicuramente meno grave di quello che viene raccontato. E’ presente, ancora una volta, la colpevolizzazione della vittima: specialmente quando, quello che viene denunciato, è un rapporto, un legame ESTREMAMENTE SACRO come quello Madre-Figlio.
Le autorità, gli psicologi, gli psichiatri, gli assistenti sociali non hanno fatto niente in questa situazione. Un po’ perché le convinzioni radicate nella società sono deleterie, un po’ perché (ecco il secondo obiettivo di “Non è Poesia”) non esistono le normative adeguate; Esistono leggi per tutelare i malati psichiatrici (giustamente) ma non ne esistono per tutelare i familiari delle persone inconsapevolmente malate. Cosa dobbiamo aspettare? Prima di interessarsi ad un argomento urgente, quanti morti dovranno esserci?

Non è poesia non è un libro semplice, tantomeno leggero. Ma è un testo necessario. E’ una storia necessaria per comprendere.

Concludo questo luuuuunghissimo articolo, ringraziando Erika per avermi inviato una copia digitale del suo testo. La ringrazio perché mi ha fatto sentire meno sola. E voglio comunicarle la mia più profonda stima per il coraggio che ha avuto nello scrivere e pubblicare questo libro. Grazie.

 

Buona lettura a tutti,
Rachele.

 

 

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Rachele Bini

Rachele, 31 anni. Una, Nessuna, centomila. Copywriter e amante della comunicazione, la scrittura è il suo pane quotidiano. Ha gestito un Ufficio Stampa per una piccola Casa Editrice Indipendente. Aspirante Giornalista, scrive per "Il Tirreno".

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