Difficilmente si può inquadrare Thomas Kuhn (1922-1996) in un ambito specifico, tanti sono i contributi che ha dato alla fisica, alla filosofia, alla storia della scienza. Restringendo il campo al ruolo che ha avuto nell’offrire una nuova prospettiva su ciò che significa per l’uomo il progresso scientifico, tra i più importanti meriti gli va riconosciuto sicuramente quello di aver intrecciato l’indagine epistemologica con la storia della scienza.
Analizzando il percorso tracciato dalla scienza nel tempo, il filosofo statunitense si accorse che la storia della scienza è caratterizzata dall’alternarsi di due periodi: la fase nomale e la fase rivoluzionaria.
La fase normale, quella che Kuhn chiamava «scienza normale», coinvolge la ricerca fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza in passato e assunti dalla stessa comunità scientifica come fondamento per ulteriori ricerche. In questa fase la scienza opera sulla base di determinati principi, consolidati nel tempo, e secondo procedute acquisite e divenute abituali.
«[…] scienza normale significa una ricerca stabilmente fondata su uno o su più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore».
Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962)
Questo “stato delle conoscenze”, che prima del XIX secolo era affidato ai grandi classici della scienza come la Fisica (IV a.c.) di Aristotele, o gli Elementi di chimica (1790) e Il trattato elementare di chimica (1789) di Lavoisier, o ancora, i Principia (1687) e l’Ottica (1704) di Newton, viene oggi (anni ’60, ndr) presentato dai manuali scientifici. Chiaramente lo stato delle conoscenze è relativo a un particolare periodo storico e a un determinato settore di ricerca. Al netto di tutto ciò, la tesi di Kuhn era che la fase della scienza normale si basasse sulla condivisione di un paradigma da parte della maggioranza degli scienziati, dei gruppi di ricerca e delle comunità scientifiche.
Entrando nel merito della questione, un paradigma è caratterizzato da un sistema sufficientemente articolato e integrato di modelli di ricerca, pratiche sperimentali e teorie. Sostanzialmente un paradigma è una “visione del mondo”, nella quale vengono accettati, determinati problemi, determinate soluzioni e determinate metodologie per raggiungere tali soluzioni.
Lo scopo della scienza nella fase normale è quello di gestire le conoscenze acquisite, ragion per cui nelle “condizioni normali” lo scienziato non è un innovatore, ma cerca di risolvere i problemi che gli si presentano all’interno del quadro concettuale definito dal paradigma stesso, ovvero sulla base delle nozioni e dei metodi della tradizione scientifica esistente. Tuttavia in questa fase non sempre gli scienziati riescono a risolvere i nuovi problemi – rompicapi, per usare il linguaggio kuhniano – all’interno dei limiti imposti dal paradigma.
Ecco che, quando questi rompicapi si moltiplicano e gli scienziati non riescono più a risolverli con gli strumenti concettuali offerti dal paradigma, diventano delle vere e proprio anomalie, impossibili da spiegare entro i limiti del modello teorico consolidato e condiviso. Si apre così un periodo di crisi che dà avvio alla fase rivoluzionaria.
Una rivoluzione scientifica avviene quando il vecchio paradigma non è più in grado di spiegare in modo soddisfacente i nuovi fenomeni, i quali diventano dei rompicapi insolubili nell’ottica del sapere tradizionale: c’è un vero e proprio ri-orientamento del quadro teorico, che porterà all’adozione di un paradigma alternativo.
Ma il passaggio da un paradigma all’altro non è semplice né lineare: esso è infatti proceduto da un periodo più o meno lungo di crisi, in cui si manifesta una proliferazione di nuove teorie, affinché emerga una spiegazione soddisfacente dei nuovi fatti. Basti pensare a quanto è stato lungo e travagliato il passaggio, in astronomia, dal paradigma tolemaico a quello copernicano, con un vero e proprio moltiplicarsi di ipotesi, fino a quando il vecchio paradigma non è stato abbandonato, lasciando spazio al nuovo candidato, nella fattispecie a quello principale, e alla sua battaglia per l’accettazione.
Sostanzialmente, una volta accettato il nuovo paradigma, inizia nuovamente una fase di scienza normale, che a un certo punto sarà travolta da un’altra crisi e così via: questo è l’alternarsi delle due fasi nella storia della scienza.
Kuhn trasse due importantissime conseguenze da questa alternanza.
La prima è che il progresso scientifico non è progresso cumulativo, cioè non è basato sull’estensione del vecchio paradigma, in modo che il nuovo paradigma, oltre a ereditare problemi, soluzioni e metodi di quello vecchio, ne crei di nuovi. Ѐ piuttosto un ri-orientamento del quadro teorico, nel senso che vengo modificati, in parte, teorie, metodi e applicazioni: sostanzialmente ci sono dei guadagni e delle perdite.
La seconda è che il progresso scientifico non è un progresso assoluto, ma è piuttosto un progresso relativo. Detto altrimenti, è un progresso non “verso dove/qualcosa”, ma “a partire da”.
«Ormai deve essere chiaro che la mia concezione dello sviluppo scientifico è fondamentalmente di tipo evoluzionistico. Immaginiamo, allora, l’albero di tale evoluzione che rappresenta lo sviluppo dei nuovi settori specifici della scienza a partire dalla loro comune origine, per esempio dalla filosofia naturale. Immaginiamo inoltre una linea che salga dalla base del tronco alla cima di qualche ramo senza riscendere su se stessa. Due teorie qualsiasi che si trovano su questa linea sono poste tra loro in relazione genealogica. Consideriamo ora due di queste teorie, ognuna presa in un punto non troppo vicino all’ origine. Io credo che sarebbe facile progettare un insieme di criteri – compresa la massima accuratezza nelle predizioni, il grado di specializzazione, il numero (ma non il raggio d’ azione) delle soluzioni di problemi concreti – che permettono, a ogni osservatore non coinvolto nelle due teorie, di dire quale era la teoria più vecchia e quale quella derivata».
Kuhn, Riflessioni sui miei critici, in Lakatos (a cura di), Critica e crescita della conoscenza (1974).