“Questa storia parla di un pesce che nuota verso un pesce più anziano e dice “Sto cercando quella cosa che tutti chiamano ‘oceano’ “. “L’oceano?” risponde il pesce più anziano “Figliolo, ci sei dentro in questo momento!”. “Questo?” risponde allora il pesce piccolo “Questa è solo acqua! Io sto cercando l’oceano.“
Quella sopra riportata è forse la frase più enigmatica dell’intero film di cui parleremo oggi, Soul (Pete Docter, Kempt Powers, Pixar Animation Studio, 2020). Voglio partire da qui, dal nodo, dall’inghippo non sciolto e vorrei che prima di continuare a leggere voi soppesaste la frase e decideste cosa significa per voi. Prendetevi un minuto.
Ci avete pensato?
Mi sono chiesta per grande parte del film cosa possa significare questa frase per un bambino, se può capitare anche ai piccoli di rimanerci impigliati o se semplicemente nel ricordo vada fondersi con la materia del cartone in generale, se queste parole cadano nel vuoto, diventino niente. Mi sono anche chiesta se un bambino possa davvero apprezzare un film come Soul, non per un’ipotetica stupidità dei bambini, che è cosa tutt’altro che vera, ma per la stessa costruzione del film, che con i suoi contorni morbidi e i suoi colori brillanti forse parla meglio agli adulti che a chi a quelle forme tondeggianti e a quei colori sgargianti è ancora più avvezzo di noi.
L’episodio di oggi funziona così: una prima parte è accessibile a tutti, sia a quelli che hanno visto il film che quelli che non hanno un rene da vendere alla mafia russa per pagarsi Disney+ e ancora non l’hanno fatto, la seconda è riservata a chi l’ha già visto e infatti contiene spoiler in ogni suo angolo.
Poi non dite che non vi ho avvertiti.
La parte per quelli che non l’hanno visto
Soul come molti altri prima di lui si iscrive in un gruppo di cartoni animati di cui la sera davanti ad una birra si dice che “non è solo per bambini”. In questo caso vorrei dire che il film in questione si spinge oltre e si cataloga fra gli estremisti della categoria, quei prodotti ibridi di cui si può dire piuttosto che “non è solo per adulti”.
Non so francamente quale bambino possa digerire un’ora e mezzo di film su un insegnante di mezza età appassionato di jazz che riscopre gli angoli reconditi della vita (quelli dove si sedimenta la felicità e non la si vede) dopo essere quasi morto, ma va concesso che le scene con il gatto sono molto buffe, forse bastano a catturare l’attenzione di un bambino. Ipotetico Bambino che forse ha già sperimentato la tristezza, o la solitudine, ma che di certo non sa cosa si prova ad arrivare ad un certo punto della vita e rendersi conto che forse non si è fatto abbastanza, e che non c’è rimasto tempo nemmeno per fare di più, che non tutti i dotati diventano jazzisti, alcuni si incagliano nelle aule di fortuna della didattica musicale alle medie, quei luoghi infernali regno di saliva, sudore e note distorte. Penso anche che sia giusto così, che nessun bambino si meriti di ricevere in anticipo questo amaro spoiler sulla vita adulta, conviene pensare da piccoli che, come accade alla co-protagonista del film , l‘anima 22 (e qui il termine neutro mi viene in aiuto, perché la voce, prestata da Paola Cortellesi è femminile, ma l’anima non ancora scesa sulla terra chiarisce che è una scelta, e che ancora non sa se sarà un maschio o una femmina, succederà tutto sulla Terra) ciascuno di noi prima di scendere abbia ricevuto l’insegnamento di un personaggio illustre, e che ci sia in noi almeno in potenza la possibilità di diventare altrettanto.
Questa è la meta ultima a cui posso condurvi, più in là di così non si può procedere senza subire spoiler.
Tuttavia, sento di potervi consigliare la visione di Soul chiunque voi siate, che siate diventati jazzisti o insegnanti di musica, che abbiate ancora tempo davanti per diventare qualcos altro o che ne abbiate più alle spalle, c’è del bello da imparare da questo cartone animato per ciascuno di voi.
E credetemi, c’è ancora qualcosa di bello da imparare anche dalla vita, ed anche questo, per ciascuno di voi, a qualsiasi punto della storia abbiate messo il segnalibro.
La parte per quelli che l’hanno visto
Innanzitutto, cari lettori che siete arrivati fin qui, sono contenta che dopo l’espianto del rene stiate ancora bene, dopotutto, dicono che si può vivere anche senza. Ciò detto, quello che più ho amato di questo film è l’evoluzione della morale. Se in prima base ciò che sembra esser suggerito allo spettatore è un invito a dare il massimo nella vita, a sfruttare al meglio le proprie possibilità (quasi che a tutti possa essere concesso diventare Karl Gustav Jung, Abramo Lincoln o Madre Teresa di Calcutta) prima che la lancetta dell’orologio determini lo scadere del tempo a disposizione, sul finale il discorso pare essere tutto un altro. Quello che dà la scintilla alle anime dei non-ancora-nati non è necessariamente la passione che li caratterizzerà, quanto semplicemente la materia chimica con cui fa reazione il nostro cuore, anzi, la nostra anima.
Non serve essere musicisti per apprezzare la musica, la poesia è in tutti noi anche se non riusciamo a metterla in parole, non serve nemmeno realizzare il proprio sogno per dire di aver vissuto degnamente, tutto ciò che conta è fare reazione. Con qualsiasi cosa, appigliarsi a tutto ciò che c’è di vivo di volta in volta, i grandi obiettivi tracciano la strada, ma sono le piccole cose il bastone che ci permette di salire quando si è troppo stanchi.
Momenti di trascurata felicità
Mentirei se per difendere la mia reputazione di carta velina di donna forte dicessi che non ho pianto nella sequenza di spicchi di vita che Joe, il protagonista, infine ricorda come momenti di felicità. Per prendere in prestito il titolo di un celebre libro di Francesco Piccolo, sono tutti momenti di trascurabile e trascurata felicità: una foglia che cade vorticando, l’odore della pizza, un cantante in metropolitana che riattiva qualcosa che sembrava sopito, un’alunna talentuosa che talvolta da sola basta a dire di aver comunque portato a termine una missione (perché, se ci siete, cari insegnanti che magari state leggendo questo blog, non è vero che chi non sa fare insegna: chi insegna sa fare così tanto da donarlo anche agli altri), cose di cui ci si dimentica di fronte ai profili di successo, di cui quasi ci si vergogna davanti alla felicità esibita degli altri.
Eppure sono queste cose che ti fanno capire che a volte è tutto qui. L’oceano e la felicità, a volte ciò che cerchiamo era proprio qui, vorticava davanti a noi, ci sorrideva quando facevamo l’esame di maturità, dormiva sul cuscino poco distante dal nostro stesso viso, abbaiava al campanello quando tornavi a casa, era il sorriso di tua nonna quando hai preso una laurea totalmente inutile, gli occhi di tua madre quell’anno in cui rischiavi di essere rimandata a matematica e invece sei passata senza debiti.
A volte è davvero tutto qui.
E’ tornato il solito PS
Se non siete infanti e Soul riesce a catturarvi, a farvi riflettere, vi consiglio poi la lettura del libro di Piccolo di cui parlavo sopra “Momenti di trascurabile felicità” e/o il film tratto da questo per la regia di Daniele Luchetti, del quale ho già parlato in precedenza. Le due storie si assomigliano per incipit, un uomo si confronta con una morte improvvisa e ripensa alla sua vita, alle cose mai fatte, a quelle trascurate, ma soprattutto a quelle che davvero avevano valore e che, guarda caso, erano tutte piccole cose.