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Ottava intermittenza

Ottava intermittenza

Benvenuti o bentornati tra queste pagine!

Quest’oggi vorrei cimentarmi con un tipo di scrittura episodica. La storia che voglio raccontare ha bisogno di spazio, e credo che la fruizione “a capitoli” rappresenti la scelta migliore. Questa introduzione potrebbe risultare stringata, rispetto alla lunghezza dei racconti precedenti, ma ciò mi serve per preparare il terreno a ciò che succederà nei capitoli futuri.

Fatta questa introduzione assolutamente non necessaria, vi auguro, come sempre, buona lettura.


 

La briscola era un gioco del vecchio mondo. I vecchi la tramandano alle nuove generazioni con la speranza di far sopravvivere un frammento del mondo che ci siamo lasciati alle spalle nei nostri cuori. Non mi sono mai piaciuti i giochi di carte, ma era un modo per ascoltare aneddoti, avventure e curiosità degli anziani seduti attorno al fuoco, nelle umide serate estive. Mio nonno era tra questi.

Conservava, all’interno della sua capanna, un sacco di cartoline raffiguranti mari, laghi, fiumi e paesaggi al tramonto, resi più dolci dalla pioggia silenziosa che li bagna. In quei luoghi, fin dalla tenera età, ho viaggiato a lungo. Nelle notti più solitarie e più dure, mi immaginavo correre in quegli spazi senza fine, rotolarmi nei campi di grano e, una volta che della mia pelle non avessi più distinto il colore, mi sarei pulito e purificato nel mare.

Una volta calata la notte, con la salsedine che mi avrebbe avvolto, mi sarei messo a scrivere una fiaba, per dimostrare a mio nonno che anch’io avrei potuto guadagnarmi da vivere scrivendo storie. Ricordo che da piccolo mio nonno non volle mandarmi a scuola con gli altri bambini e preferì pensare lui alla mia educazione. Il suo compito preferito era farmi scrivere; mi ricordo ancora la sua litania prima di affidarmi i compiti: ”la scrittura crea il mondo”. Dapprima non capivo cosa intendesse, ma guardando in alto, prima della fatidica notte, compresi bene cosa volesse comunicarmi con quella frase, apparentemente sgangherata e fuori contesto.

La comunità era circondata da un’enorme cupola arborea che rendeva difficile al sole la sua opera di illuminazione, ma nel contempo rendeva impossibile alla pioggia di filtrare. Sono cresciuto conoscendo la pioggia solamente nei racconti di mio nonno, che riusciva a dare una forma a questo termine allora così astratto grazie alle cartoline. L’alternanza giorno/notte era data da alcune piccole lanterne, distribuite lungo le pareti di tutto il villaggio, che venivano accese di giorno e spente sul far della sera. Ovviamente anche questi termini sono stati presi in prestito dal mondo che fu, per noi significavano solo l’alternanza delle lanterne. Ricordo ancora che il giorno in cui cambiò tutto, le lanterne erano spente quindi, per dirla coi termini di mio nonno, era notte.

Per lui, improvvisamente, arrivò la morte. La perdita, non solo per quanto mi riguarda, fu incommensurabile. Con lui se ne andava un pezzo di storia non solo della mia gente, ma del mondo intero. Tutti i suoi ricordi, le sue immagini, le sue storie scomparvero con lui. Ricordo ancora quando, da bambini, passavamo intere giornate ad ascoltare le sue storie. Ci raccontava di giornate passate ad ascoltare il tramonto, a odorare il vento che soffia salmastro e abbracciare il plenilunio che incombe nelle notti di velluto. Ho amato ogni singola parola di quelle storie e, ogni volta che potevo, tentavo di catturare l’essenza di quelle parole, per me così astratte, nei miei componimenti bislacchi e privi di senso. Al suo funerale giunsero tutti, nessuno escluso. Le più alte sfere della tribù, i più piccoli, i miei coetanei che con me erano cresciuti coi suoi racconti e Nara.

Lei era la mia fidanzata, o, per meglio qualificarla, la mia promessa sposa. Era la figlia (o forse è la figlia? Non so che fine abbia fatto), di Luton, il capo della setta degli Anziani, coloro che amministravano e, in qualche modo, comandavano, la nostra tribù. Pensando di fare cosa gradita a tutti coloro che amarono, e rispettarono mio nonno, continuai la sua opera di divulgazione. Ma durò poco. Il successo di quelle storie, in particolare tra i più giovani dovette disturbare le sfere più alte, ancora non so per quale motivo.

In breve tempo gli amici, o i presunti tali mi abbandonarono alla svelta, mi rimase solo Nara. Dapprima mi implorò di smettere con le mie storie, ma io non lo feci. Continuai a raccontare anche solo per quei tre vecchi che continuavano ad ascoltarmi. E la presenza di Nara si fece, fin da subito, più vacua. Riportare quelle testimonianze, far riemergere quel passato che sembrava (futuro o quel futuro che sembrava passato) era diventato il compito della mia vita.

 

Continua…

 

 

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