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I presocratici e il principio di tutte le cose

presocratici

Con il termine «presocratici» ci si riferisce a quel gruppo di studiosi vissuti tra la fine del VII e gli inizi del IV secolo a.C., precedenti all’avvento di Socrate, non tanto dal punto di vista storico, quanto da quello culturale. Di fatto, alcuni sono stati contemporanei di Socrate e altri ancora, come Democrito, sono addirittura nati dopo.

Se soltanto dopo Socrate e Platone si parlerà di filosofia come disciplina effettivamente definita da certe peculiarità, è con i presocratici che le domande che da sempre l’uomo si è posto sul mondo hanno iniziato ad assumere una forma complessa, attraverso le modalità di quello che sarebbe poi diventato il pensiero filosofico. Interrogativi sulla natura e la struttura dell’universo, sul posto dell’uomo in esso, sul rapporto con il divino, sui limiti della propria conoscenza: tutto stava iniziando ad assumere la forma del lògos, del discorso razionale.

È opportuno sottolineare che nulla ci è pervenuto, in termini di testi scritti, da parte dei presocratici: tutto ciò che sappiamo lo dobbiamo in particolar modo ad Aristotele, che è ha compiuto una vera e propria genealogia del pensiero filosofico. Tuttavia, il problema delle fonti è che il filtro non è mai totalmente neutro, poiché entrano in gioco micro-interpretazioni, linguaggio e categorie di un diverso sistema filosofico; per non parlare di dottrine lette con gli occhiali delle proprie finalità.

Un esempio è il termine archè, tradizionalmente utilizzato per spiegare le posizioni dei presocratici in relazione all’elemento, o agli elementi, a cui fanno risalire il principio di tutte le cose. Tuttavia è alquanto improbabile che qualcuno di loro abbia mai usato un simile termine, ragion per la quale è da considerarsi un anacronismo.

Nello specifico, in questa sede saranno trattati solamente quelli che Aristotele chiama «fisiologi», ossia studiosi della natura, appassionati di astronomia, di cosmologia, di fisica, di biologia. Talete, Anassimandro e Anassimene – la scuola di Mileto – rappresentano la prima traccia effettiva della filosofia, lungo le coste ioniche del Mediterraneo, a Mileto per l’appunto.

Per Talete il principio di tutte le cose è l’acqua e, ancora più in generale, l’elemento umido. Probabilmente non è da intendersi solo nella prospettiva di principio generatore ma anche in quella di elemento che accompagna la vita dell’uomo e degli altri organismi viventi. Infine, l’acqua è ciò che permette alla terra di poggiare – e galleggiare – su qualcosa anziché su nulla, esattamente come fa un pezzo di legno.

Il pensiero di Anassimandro è più articolato, poggiando non su un elemento naturale ma su un concetto astratto: l’illimitato. Ogni cosa nasce dall’àpeiron, letteralmente «privo di limite», idealmente una sorta di magma originario, e, nascendo come individualità, commette un’ingiustizia cosmica. La pena sarà quella di ritornare nell’illimitato.

Anassimene, terzo e ultimo rappresentante della scuola di Mileto, osserva invece che dietro ogni processo naturale c’è un elemento ricorrente, ovvero l’aria. La tesi è che dunque l’aria abbia un ruolo centrale nell’origine di ogni cosa. In sostanza, gli altri elementi fisici si produrrebbero a partire dai processi di condensazione e rarefazione dell’aria; ad esempio, rarefacendosi, l’aria diverrebbe fuoco, oppure condensandosi prima vento e poi acqua.

Questi sono i primi passi compiuti dalla filosofia, almeno da un punto di vista storico condiviso. Ma sarebbe un errore applicare le nostre categorie a quello che, in fin dei conti, era un “semplice” tentativo di spiegarsi l’origine del mondo con un approccio razionale e analogico. Non che i «fisiologi» non si ponessero quelle che oggi sarebbero considerate domande filosofiche rilevanti; semplicemente l’unico filtro era la ricerca di una risposta, e non la costruzione di interi edifici filosofici.

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