L’ultimo viaggio nell’oceano indiano è stato nel 2019, poi è avvenuto ciò che era imponderabile, quella che a tutti gli effetti è una situazione che produce gli effetti di una guerra sulla mente, nel corpo delle persone sfortunate, sul lavoro, sulla libertà personale.
La stranezza di questo periodo risiede per me nella perdita della capacità di progettare a lungo termine ( anche medio direi ), ma ogni volta in cui vedo questa ed altre foto il ricordo del “ passato “ genera in me una spinta propulsiva verso l’irrefrenabile desiderio di esplorare. Non che sia stata ferma in questi mesi, nonostante tutto ho viaggiato ma con, passatemi il termine, il laccio al piede ovvero senza la possibilità di allontanami troppo facendo lo slalom tra regolamenti assurdi e leggi partorite sulla scia delle emozioni.
L’inizio del nuovo articolo doveva essere questo, una, l’ennesima riflessione sulla nostra mancanza di « libertà », sui nuovi paletti ai quali ci stiamo mollemente abituando nell’incertezza e nell’attesa che si riesca a gestire la ormai lunga pandemia.
A vedere le immagini dell’aeroporto di Kabul ieri questi discorsi, partoriti tre o quattro giorni fa, mi sembrano la bizza di una bimba viziata.
Non è il tema di questo blog, ma una riflessione è d’obbligo in un momento simile, quantomeno farne menzione perché noi popolo più di questo non possiamo fare.
Era l’11 settembre del 2001 ed io stavo studiano storia greca in camera mia, mia madre venne di corsa dicendomi che un aereo si era schiantato su WTC.
Da quel momento in poi fu prioritaria la guerra al terrorismo di Al Qaeda, Bin Laden ricercato numero uno, il Mullah Omar, la guerra in Afghanistan.
Mi astengo dalle disamine geopolitiche e dai motivi economici che possono aver spinto il conflitto, ma ricordo i fiumi di inchiostro prodotti lodando l’impegno dell’occidente nel migliorare la vita e la condizione delle donne schiave dei talebani.
La liberazione dal Burqa, il simbolo dell’asservimento, le donne che potevano diventare indipendenti, potevano guidare, studiare, anche vivere da sole se lo desideravano. E l’Afghanistan sembrava essere diventato un posto in cui un’apertura alla libertà poteva esistere, nonostante la grave condizione umanitaria, la povertà, l’ignoranza, le leggi tribali consolidate.
Ma l’ipocrita occidente che si batteva il petto in difesa delle donne e che inorridiva di fronte alle condizioni disumane di una popolazione rimasta al medioevo, adesso non ha più interesse a rimanere nella zona. Che se la vedano da soli, cadendo dopo essersi aggrappati agli aerei in fuga.
Come diceva De André, lo Stato si costerna, si indigna, s’impegna poi getta la spugna con grand dignità.