Giovanni Bellini sarà il protagonista del mio articolo di oggi.
Egli sarà il quarto protagonista di questo nostro viaggio alla scoperta del Rinascimento Italiano.
Giovanni Bellini lavorò instancabilmente per circa sessant’anni, sempre ad altissimi livelli. Ad ispirarlo furono soprattutto il cognato Andrea Mantegna, Piero della Francesca, Antonello da Messina e Albrecht Dürer. Bellini prese da questi grandi artisti tanti stimoli ma non smise mai di rinnovarsi durante tutto il corso della sua carriera.
Ma adesso iniziamo a scoprire qualcosa in più sulla sua vita.
Gli esordi
Giovanni Bellini nacque a Venezia intorno al 1427. Sia il padre Jacopo che il fratello Gentile furono grandi artisti. La sorella Nicolosia, invece, come già anticipato in un recente articolo, divenne poi la moglie di Andrea Mantegna.
Gli esordi di Giovanni nell’arte sono incerti e dovrebbero collocarsi negli anni 1445-1450, sebbene nessuna opera conosciuta dell’artista venga attribuita a quel periodo.
I primi dati certi risalgono al 1460, quando Giovanni avviò la serie delle Madonne col Bambino, un tema che si portò dietro per tutta la sua carriera. Si tratta di una serie di immagini di piccole e medie dimensioni, destinate alla devozione privata e molto frequenti nella produzione lagunare di quel periodo. Un altro tema che fece da protagonista durante tutta la vita artistica di Bellini fu quello della Pietà.
Svariate tele appartenenti alla fase giovanile di Giovanni sono accomunate dagli influssi del cognato Andrea Mantegna. Un esempio di ciò è rappresentato dalla “Preghiera nell’orto”:
L’opera è simile ad un analogo soggetto di Mantegna ed entrambe derivano da un disegno di Jacopo Bellini. Le tele hanno la stessa atmosfera e il solito paesaggio roccioso ma nell’opera di Bellini i colori sono meno cupi e più naturali.
La maturità
Tra il 1464 e il 1470 Giovanni collaborò con la bottega del padre nell’esecuzione di quattro grandi trittici per l’appena ricostruita chiesa di Santa Maria della Carità a Venezia. La loro esecuzione viene oggi in grandissima parte attribuita ad altri artisti, mentre la progettazione generale viene assegnata a Jacopo Bellini. Tra i quattro quello attribuito a Giovanni è il trittico di San Sebastiano, che viene considerato come una specie di prova generale per la sua prima grande prova come pittore.
Lo stile maturo di Giovanni raggiunge il suo culmine con la “Pala di Pesaro”, oggi nei Musei civici di Pesaro. Al suo interno si riconoscono vari influssi, da quello del cognato Mantegna, a quello di Piero della Francesca fino a quello di Antonello da Messina per quanto riguarda l’uso del colore a olio e l’amore per il dettaglio tipico della pittura fiamminga. Con la successiva “Pala di San Giobbe”, eseguita intorno al 1480, Bellini realizzò una delle sue opere più rinomate.
Giovanni Bellini e i ritratti
In contemporanea a questa grande produzione di arte sacra, Bellini si dedicò anche alla realizzazione di ritratti. Al contrario di molti suoi predecessori, non ne realizzò un vasto numero ma gli regalarono comunque un enorme successo. Il ritratto più antico di cui abbiamo notizie è quello di Jörg Fugger del 1474, seguito dal “Ritratto di giovane in rosso” e dal “Ritratto di condottiero”. L’influenza di Antonello da Messina appare evidente, ma, al contrario del pittore siciliano, i ritratti di Bellini hanno un rapporto psicologico soggetto/ritratto meno evidente.
Le opere simboliche
Tra il 1490 e il 1500 Giovanni realizzò “l’Allegoria sacra” degli Uffizi, una delle opere più enigmatiche di tutta la sua produzione. L’opera è popolata da tutta una serie di figure simboliche il cui significato non è del tutto chiaro ancora oggi.
Sempre a carattere simbolico sono le quattro allegorie delle Gallerie dell’Accademia, quattro tavolette che originariamente decoravano un mobiletto da toilette, dotato di appendiabiti e specchiera.
Avvicinandosi al XVI secolo, Bellini iniziò a sviluppare un approccio sempre più innovativo nei confronti della pittura.
Nel 1505 realizzò la “Pala di San Zaccaria”, opera che segnò l’inizio dell’ultima fase della sua produzione artistica. In questa pala la struttura compositiva non si differenzia molto da quella della “Pala di San Giobbe”, ma la presenza del paesaggio ai lati genera una luce che ne ammorbidisce le forme, riscaldando l’atmosfera.
Il 23 febbraio 1507 morì il fratello Gentile Bellini e Giovanni ereditò tutti i taccuini della bottega del padre Jacopo, con la condizione però di dedicarsi al completamento del grande telero con la “Predica di San Marco”, avviato da Gentile nel 1504 per la Scuola Grande di San Marco.
L’ultima fase e la morte
L’ultima fase della produzione di Bellini è caratterizzata dalla presenza di soggetti profani, temi sempre più cari alla ricca aristocrazia veneziana.
Grazie alla fama raggiunta, anche ben oltre i confini veneziani, Bellini ricevette svariate richieste di privati, su soggetti decisamente insoliti nella sua produzione e legati alla letteratura e alla classicità.
Altri lavori successivi e slegati dalle opere della sua prima produzione furono “Giovane donna nuda allo specchio”, “Il Bacco fanciullo” e “Il Festino degli dèi”. Nello stesso periodo continuò anche la sua produzione di pale d’altare.
Nel 1515 Bellini completò un ultimo dipinto, “il Ritratto di fra’ Teodoro da Urbino” e iniziò a lavorare al telero del Martirio di San Marco, opera che rimase incompleta e venne completata, solo nel 1537, da Vittore Belliniano.
Giovanni Bellini morì il 26 novembre 1516.