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Karl Popper e il principio falsificazionista

Popper

Nel precedente articolo (per recuperarlo clicca qui) sono stati esami i due problemi dell’epistemologia novecentesca: quello relativo all’induzione, ovvero all’impossibilità di giungere a conclusioni universali a partire da un numero finito di casi empirici, e quello relativo alla demarcazione fra scienza e non-scienza.

Il filosofo Karl Popper ha affrontato entrambi, cercando una soluzione che offrisse un nuovo punto di vista. In questa sede verrà preso in considerazione il contributo offerto al problema della demarcazione.

Prima di affrontare la questione, tuttavia, occorre fare un passo indietro, affinché dal distacco fra la prospettiva neopositivista e quella di Popper emergano con forza le fondamenta del pensiero filosofico di quest’ultimo.

L’idea di scienza che circolava tra i neopositivisti (per un approfondimento clicca qui), quantomeno all’inizio, si basava sul fatto che le teorie fossero costruite esclusivamente a partire da fatti osservati. In tal senso, tutto ciò che aspirava a definirsi scientifico doveva essere poter verificato empiricamente, almeno potenzialmente.

Popper rovesciò questa concezione, sostenendo che in realtà è l’aspettazione teorica che precede le osservazioni, infatti quest’ ultime sono già cariche di teoria, orientate dalla prospettiva teorica. Le osservazioni, prese di per sé, sono sì “neutre”, ma proprio per questo serve un punto di vista, altrimenti non si potrebbe sapere cosa osservare.

Sostanzialmente, la neutralità dell’osservazione non si situa nell’effettivo momento in cui si osserva, come sostenevano, fra gli altri, i neopositivisti, ma precedentemente, quando le aspettative teoriche degli scienziati non hanno ancora influenzato tale osservazione. Ne deriva logicamente che, di fatto, non esistano osservazioni neutrali, nel senso stretto del termine, poiché tutte presuppongono un punto di vista teorico. Ogni osservazione di fenomeni non è pura, poiché quest’ ultimi sono comprensibili soltanto all’interno di un modello teorico interpretativo, sempre espresso in termini linguistici.

«Venticinque anni or sono, cercai di far capire questo punto a un gruppo di studenti in fisica, a Vienna, incominciando la lezione con le seguenti istruzioni: ‘prendete carta e matita; osservate attentamente e registrate quel che avete osservato!’. Essi chiesero, naturalmente, che cosa volevo che osservassero. È chiaro che il precetto ‘osservate’ è assurdo. E non è neppure idiomatico, se l’oggetto del verbo transitivo non può considerarsi sottointeso. L’osservazione è sempre selettiva. Essa ha bisogno di un oggetto determinato, di uno scopo preciso, di un punto di vista, di un problema. E la descrizione che ne segue presuppone un linguaggio descrittivo, con termini che designano proprietà; presuppone la similarità e la classificazione, che a loro volta presuppongono interessi, punti di vista e problemi».

– Popper, Congetture e confutazioni (1962)

Lo scienziato non saprebbe cosa osservare o dove dirigere la propria indagine se non possedesse delle pre-nozioni relative all’oggetto della sua ricerca. Ad esempio, il tracciato di un elettrocardiogramma è comprensibile per il medico, ma appare al profano come una serie “disordinata” di linee. Dunque, l’osservazione presuppone una “predisposizione” a osservare, vale a dire un vocabolario di base capace di interpretare ciò che si analizza e che costituisce l’orizzonte delle nostre aspettative: la cultura, l’educazione, la formazione, determinano nello scienziato degli scenari mentali grazie ai quali può indagare i fenomeni.

Alla luce di ciò, se i neopositivisti erano convinti che il loro principio di verificazione fosse sufficiente a stabilire che cosa si potesse chiamare scienza e che cosa invece no, Popper favorì un vero e proprio cambio di paradigma dal punto di vista metodologico: un’asserzione, o un sistema di asserzioni (leggasi teoria), per essere scientifica, e dunque significante, non doveva poter essere verificata dall’esperienza, ma piuttosto doveva prestarsi, al contrario, a essere falsificata.

In sostanza, ciò che distingue un’asserzione scientifica da una non scientifica è la sua falsificabilità, ovvero la sua disposizione a essere falsificata dall’esperienza. Il principio falsificazionista funziona da discriminante per l’attestazione di scientificità di una teoria.

Potrà sembrare contro-intuitivo, ma il fatto che una teoria possa essere falsificata determina, nella prospettiva popperiana, l’attendibilità scientifica della teoria stessa, che sottoponendosi a un controllo rigoroso non potrà che risultare rafforzata o smentita, traendone comunque guadagno in termini di progresso scientifico.

Infatti, una teoria che sia stata controllata in modo accurato, che sia stata cioè esposta al severo tentativo di falsificarla, e che abbia superato i vari controlli, risulta corroborata, vale a dire rafforzata dal confronto con le esperienze potenzialmente falsificanti. Il concetto di «corroborazione» fu introdotto da Popper in contrapposizione al concetto di «conferma», utilizzato dai neopositivisti, ed è un concetto qualitativo.

Mentre la conferma di una teoria si basa sul numero di verifiche che quest’ultima ha ottenuto (potenzialmente infinito), ragione per la quale è un concetto quantitativo, la corroborazione dà alla teoria lo status non di verificata, bensì di non-falsificata: la qualifica. Una teoria che sia stata corroborata può essere considerata più forte delle altre, ma non per questo può essere considerata vera in assoluto, poiché potrebbe sempre essere falsificata in futuro.

Infine va sottolineato che la falsificabilità di una teoria è direttamente proporzionale al suo contenuto empirico, poiché più si espone al rischio di essere falsificata e più è informativa. Addentrandosi nella specificità della struttura, emerge che dalla teoria siano dedotti delle asserzioni-base che di fatto vietano qualcosa, e questa proibizione vale come conoscenza. Quindi più una teoria è proibitiva, nella misura in cui da esse si deduce quello che non può accadere, e più fornisce informazioni intorno alla realtà.

Pur essendo ormai superato, in termini di presupposti dell’indagine scientifica, il falsificazionismo popperiano rimane uno dei capisaldi dell’epistemologia del ‘900.

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